domenica 9 luglio 2017

Come nasce un acquerello. Tutta la brutale verità, dall'intenzione alla firma.








Arriva per tutti prima o poi nella vita il momento in cui, chiusi nella propria disperata solitudine, ci si domanda una volta per tutte: "Come nasce un acquerello?". Non preoccupatevi a darvi una risposta,  e se la troverete sarà solo una risposta illusoria, e poi perchè darsi pena se tanto ho io la risposta che fa per voi?
Innanzi tutto, per facilitarmi il compito intendo parlarvi di un unico caso: come è nato questo acquerello che ritrae uno scorcio di piazza Roma.

Cominciamo subito con la prima fase:
1) il concepimento, altrimenti detto "ispirazione" o intenzione.

Come sapete mi ero già dato il compito di disegnare diversi scorci della mia cittadina. Avevo già dipinto una veduta di Piazza Roma dal vivo, ritornando più volte nello stesso posto alla stessa ora, dipingendo la Torre di Mariano in primo piano, il palazzo So.Ti.Co sulla destra e Via Dritta sullo sfondo, ma non mi ritenevo soddisfatto, la Piazza è importante e mi sarebbe piaciuto lavorarci ancora, ma quando? E da quale prospettiva? Inoltre sapete bene che io sono un amante delle torri piezometriche e delle strutture moderne, mentre le vestigia antiche e le "Piazze rappresentative" non sono in cima alla lista dei soggetti che prediligo, si che una certa dose di pigrizia debilitava non poco questa mia volontà, già maldestramente alimentata da un quasi sadico e perverso senso del dovere e da una biechissima e ben poco affascinate - udite udite - prospettiva di vendita.
Ad ogni modo, un giorno come tanti, verso le sette e mezza del pomeriggio (siamo nel mese di Giugno) mi ritrovo ad Oristano per non so quale motivo, e non ricordo neppure se sono a piedi o in macchina, ricordo solo che mentre sbuco dalla Via Figoli in Piazza Roma rimango affascinato non solo dalla prospettiva ma sopratutto dal modo in cui la luce alimenta quella prospettiva: la luce è come la mamma, se non ce l'hai la tua vita è grigia, anzi, senza la mamma non esisti proprio, la luce è l'amore. Ed ecco che la luce dava quel potere eterno che l'uomo non è in grado di concepire, quell'energia che dona bellezza a qualsiasi cosa. Finalmente anche Piazza Roma mi appariva degna di un po' di attenzione.

Mi fermo qualche minuto ad osservare e già valutare il punto migliore da cui riprendere il soggetto: una fila di edifici su cui il sole calante proietta l'ombra delle palme che ornano la piazza conduce lo sguardo verso la Torre di Mariano, sullo sfondo il palazzo So.Ti.Co. con un lato abbagliato di luce e un lato in ombra che dà risalto alla torre splendente di un giallo/arancio vivo.
Dipingere tutto questo non è facile: primo perché dovrei mettermi proprio all'uscita di due ristoranti, praticamente in mezzo alla gente che mangia, secondo, ci sono macchine e furgoni parcheggiati che precludono la vista, e terzo, avrei a mala pena un'ora a disposizione perché questo è il tempo della luce calante e per di più non ho mai lavorato seriamente in questa fascia oraria.






Fase 2: i preparativi e l'inquadratura, la scelta vera e propria del soggetto.

Qualche giorno dopo, o forse qualche settimana dopo, ritorno sul posto per osservare con calma la piazza e familiarizzare col lavoro. Comincio a "memorizzare" la luce, perché viste le difficoltà che il lavoro presenta, decido di lavorare in studio.
Riprendo tutta la piazza, scatto diverse foto e una volta a casa le unisco insieme con un programma di fotoritocco professionale che si chiama Photoshop. Inizialmente il mio approccio "documentaristico" mi ha fatto pensare che avrei dipinto una bella fetta di piazza con la strada, le macchine e tutto il palazzo SoTi.Co. abbagliato di luce. Poi però, fermandomi a riflettere ho capito che c'era davvero troppa roba in ballo e ho deciso di concentrarmi sulle palme, sugli edifici in primo piano e sulla Torre, uno scorcio già abbastanza suggestivo.
Ovviamente dipingere da una foto è completamente diverso dalla pittura dal vivo: i colori della foto non sono i mutevoli e vivi colori della "realtà", ma sono colori "morti", fissi. Quindi la prima cosa che faccio è lavorare sui colori della foto col programma di foto ritocco per restituirgli quella luminosità che l'automatismo del cellulare non ha colto. Rallegro le ombre restituendogli chiarore e una vena di azzurro/blu,  ravvivo di giallo le parti inondate di luce, e lavoro sull'azzurro del cielo.
Adesso la foto ha acquisito un pizzico di anima cromatica, questo non mi servirà a copiarla paro paro con gli acquerelli o a cercare "il vero", quanto a vivificare il soggetto secondo la mia esperienza visivo/percettiva. Intendo dire che la bellezza del soggetto è prima ancora nella mia memoria ed è da lì che mi servo per elaborarlo, prima ancora che dalla foto.






Fase 3: il disegno

Una volta chiarito il soggetto e marcato l'obbiettivo cromatico si può cominciare a lavorare sul foglio. Comincio con un disegno a matita molto chiaro delle principali componenti del soggetto e passo una maschera liquida per mettere al sicuro, riparandole dal colore, le parti più in luce e quelle componenti importanti che potrebbero essere "sporcate" dalle prime fasi del lavoro.






Fase 4:

I primi "bagni" che riguardano il cielo e i colori più chiari degli edifici, le luci "deboli".






Fase 5:

Una volta asciugato il colore e il foglio lavoro ad un primo bagno delle ombre.






Fase 6:

Di nuovo, aspetto che il colore e il foglio asciughino per poi passare ai dettagli; le finestre degli edifici e i balconi, rafforzo e animo il colore e la materia la dove occorre, in particolare sui merletti della torre, sui cornicioni e sul muro in ombra del palazzo in primo piano.
Dal momento in cui ho cominciato a dipingere saranno passate tre ore, l' ottanta per cento delle quali passate ad osservare il lavoro. Mentre dipingo cerco di stare concentrato e di non perdermi sui dettagli. Quando lavoro ascolto il "risultato" cercando la compostezza e l'armonia dell'insieme, badando che ogni pennellata sia sintonizzata al contesto cromatico e formale ( per quanto l'acquerello possa essere considerato, tra molte virgolette, nemico della forma). Credo che questa attenzione sia la base di ogni lavoro artistico. Il soggetto, "insignificante", acquista qualità e sapore quando tutte le parti parlano tra loro creando quella vitalità che sorprende l'occhio e lo spirito.

Fase 7:

A questo punto posso togliere le maschere e dedicarmi alle palme in primo piano. Il lavoro ha già un suo impatto e devo stare molto attento a non appesantirlo, e purtroppo è proprio quello che accade: le palme che dipingo chiudono lo spazio e sono troppo scure e rigide rispetto alle altre forme. Questo guaio succede per ben due aquerelli! Soltanto al TERZO tentativo riesco a dipingerle in scioltezza assieme alla chioma di un albero, cercando di ottenere quel senso di freschezza, aria e movimento che le palme conferivano al soggetto nella realtà.
Il lavoro però appare un po' spento e con poco contrasto, ombra e luce non sono accordate tra loro: è il momento di vivacizzare il giallo e l'arancio delle luci degli edifici e della torre, è rischioso ma mi sembra necessario, d'altronde che cosa non è rischioso con l'acquerello? Procedo e il risultato è buono.

Fase 8: accorgimenti finali

Continuo ad osservare il lavoro: c'è ancora qualcosa su cui intervenire.... mancano i due lampioni... e poi cosa? Le palme non mi convincono. Cerco di dargli concretezza con un po' di rosso nella parte finale del tronco e un filo di arancio nelle foglie.
Ora sono soddisfatto ( si fa per dire). Nell'ultima parte del lavoro passo una tinta bianca (ecoline) sulle cornici delle finestre del palazzo in primo piano e sul lato illuminato dei lampioni.
E' fatta, il lavoro è concluso.