Queste ultime settimane sono state molto intense, per diversi motivi. Avrei tante cose da scrivere e da approfondire. Cercherò di essere chiaro e profondo, cercando di contenere divagazioni proto-paranoiche e prolassi linguistici.
Soprattutto l'ultima settimana è stata la più intensa di tutte: sono dovuto stare fermo a letto a causa di una fortissima infiammazione alla schiena e precisamente al muscolo Ileopsoas, che è il muscolo che comanda gambe e schiena, uno dei più importanti e forti del corpo umano. Ovviamente la diagnosi della mia dottoressa è stata quella di una infiammazione, perciò ho curato (finisco oggi) con antinfiammatori, cortisone, Tachipirina, Gastroprotettore e persino un lassativo. Ero molto preoccupato perchè dolori così intensi e una degenza così lunga non l'avevo mai provata. Ti ritrovi distrutto, come un'ottantenne arreso al proprio corpo, e come un'ottantenne ti muovi e scansioni la tua giornata, tra bagno e letto. Ho ascoltato tantissimo il mio corpo, prima i dolori e le fitte per cercare di evitarli il più possibile, poi dopo la fase acuta ho scansionato le contratture, le rigidità, le dolenze nei vari punti, aiutato dalla possibilità di individuare il dolore anche a livello razionale creando una specie di mappa mentale grazie ai tanti articoli a disposizione su internet che permettono di orientarsi sui punti "caldi" del proprio corpo e averne perciò una concezione più attenta e precisa.
Dopo la malattia arriva la fase riabilitativa - anche se in realtà le due fasi si compenetrano e si mischiano - e a quel punto il corpo lo ascolti non per stare attento a non farti venire i dolori, ma per cercare le rigidità e cercare di, oserei dire, comprenderle, permettere che esistano e, forse, provare a scioglierle ridandogli a poco a poco esercizio e mobilità. E' un percorso lento, ma a un certo punto ho pure pensato che una persona, in questi casi di infiammazione muscolare potrebbe persino guarire anche solo dando un profondo ascolto ai muscoli, muovendoli con cura e attenzione, quasi "parlandogli" per cercare di sciogliere quella rigidità in cui si sono andati a chiudere. Di sicuro la riabilitazione parte da se stessi e non solo dai medicinali. Credo di avere somatizzato una specie di esaurimento mentale. Ad ogni modo, ancora non ne sono uscito del tutto, al momento sono ancora convalescente e la situazione è da tenere sotto osservazione, tanto è vero che Lunedì prossimo dovrò fare una ecografia.
Durante questa degenza ho potuto approfondire e in parte sperimentare in prima persona i significati e le emozioni provate da Oliver Sacks e raccolti nel suo interessante saggio/racconto "Su una gamba sola", che racconta la storia vissuta dallo stesso Sacks, medico neurologo Inglese, che a causa di un incidente in montagna perse l'uso di una gamba per un certo periodo e fu costretto a letto, senza sapere se mai ne avrebbe recuperato l'uso. Il mio caso è ben diverso, non così grave e traumatico, ma in qualche modo ho potuto cogliere al meglio ciò che Sacks esprime nel suo libro, gli stati d'animo e le riflessioni che quella grave esperienza gli ha suscitato. Il libro è ottimamente ben scritto, istruttivo e ricco di sottile umorismo, e perciò consiglio a tutti di leggerlo.
Un secondo e importante libro che ho potuto apprezzare in questa settimana di degenza e sul quale vorrei soffermarmi per trarne qualche riflessione è stato "Contro l'impegno", un saggio scritto da Walter Siti e uscito in libreria proprio in questi giorni. In realtà devo ancora finire di leggerlo, ma ciò che ho letto fin qui mi spinge a consigliare di leggerlo a tutti gli scrittori, artisti, persone creative o in generale coloro che sono attenti alle dinamiche culturali e alle spinte intrusive dell'establishment della propria epoca.
Di fronte al trend contemporaneo che predilige l'utilizzo di parole sempre nuove, accattivanti, inglesizzanti o inusuali, l'utilizzo di questa parola sembrerebbe inadatto e nemmeno piacevolmente vintage. Eppure io penso che l' establishment, seppure non sia quello degli anni sessanta-settanta, non sia oppressivo e censorio come quello dell'epoca fascista, non sia direttamente pagato dal ministro della propaganda, sia comunque attualmente operativo, a livello inconscio e con dinamiche frammentate ma riconoscibili anche se non "fotografate" e proprio per questo motivo bisogna, a mio parere, fare molta attenzione e esaminare le correnti che lo portano a galla e rivelano la sua presenza e il suo operato nel tessuto culturale moderno, per quanto "liquido" esso possa apparirci. E a proposito di società liquida, è proprio sulla superficie che si addensa la melma. Dico questo perchè credo che l'animo umano sia costituito da emozioni e sentimenti, e che la cultura non sia altro che uno strumento attraverso il quale esprimerli, perciò tutte le persone e soprattutto gli artisti dovrebbero trovare la massima emancipazione da tutte le spinte culturali nelle quali siamo immersi, prima di tutto per conoscere meglio se stessi al netto dell'inquinamento culturale che ci sospinge, per evitare di esserne sommersi e nuotare o veleggiare nei flutti con più agio e consapevolezza, in modo da poter poi immergerci con più tranquillità nelle profondità delle emozioni che andiamo a esplorare con la nostra arte, con l'unico vascello a disposizione che abbiamo, che è quello del nostro spirito, e più lo spirito è puro, libero dai sovraccarichi culturali che tutte le epoche tendono a scaricare sull'animo umano, più possiamo vivere con pienezza la vita ed esprimerla nella nostra arte senza la pesantezza del senso del dovere sociale con cui ci si vuole o ci si lascia imbrigliare.
E' bello scrollarsi di dosso tutte le incrostazioni che la società cerca di lasciare in noi. Preferisco i graffi e le ferite alle incrostazioni e alla polvere della cultura. Soprattutto in questo periodo neopuritano, ossessionato dalla "massima sicurezza" e irrigidito da nuove paure in precetti proto-progressisti scientificamente certificati. Tra rare sacche di intelligenza si trovano strani ripiegamenti, desiderio di disciplina e chiusura, dove riflettere sui campi umani poco graditi sembra essere sinonimo di disagio personale e stigmatizzato come poco fruttuoso e utile. Non resiliente insomma, ancora troppo patologico. Laddove si vuole portare l'attenzione su aspetti problematici la parola d'ordine sembra essere "Dai il tuo contributo e non criticare", una specie di out-out alla riflessione, un chiudere gli occhi là dove le cose si fanno troppo oscure e complicate per potervi trar fuori delle conclusioni veloci, utili ed efficaci, non postabili sui social.
Rispondendo idealmente ad alcuni brani tratti da un breviario di Gianrico Carofiglio, nel suo libro Walter Siti scrive:
"Io penso che la letteratura possa spingerci all'odio, degli altri e di noi stessi, e possa arrivare a farci dubitare di qualunque verità; che serva a mettere ordine nel caos e caos nell'ordine. Politicamente la letteratura è sempre inaffidabile. Mentre per un politico scatenare l'irrazionalità è pericoloso, e per un giornalista l'ambiguità è un vile difetto, la letteratura invece si fonda sull'ambiguità, sull'ambivalenza (detesto/amo, sono io/non sono io), e sulla suggestione irrazionale. La metafora, che in un comizio vale come esortazione mirata, è nella sua essenza un falso sillogismo (...): il pensiero emotivo è illogico per definizione ed esclude che un poeta (ma anche un romanziere) Possa essere fino in fondo responsabile delle parole che usa e dei personaggi che inventa. Quando Carofiglio dice che "il messaggio implicito e potente dei populisti è non devi vergognarti dei tuoi sentimenti più oscuri", noto che la stessa cosa viene detta implicitamente da molta grande letteratura, da Lacklos a Dostoevsky, da Racine a Nabokov, da Sandro Penna e Brett Easton Ellis ed oltre. L'oscurità dell'inconscio, personale e sociale, è un pozzo senza fondo al quale attingono sia i messaggi d'odio che gli scandagli di conoscenza. Se gli scrittori non vogliono che il loro impegno si riduca ad una forma di populismo buono da opporre al populismo cattivo, devono fare attenzione a non dare priorità, nei loro romanzi, a troppi messaggi esortativi o pedagogici."
Questo è solo uno dei tanti passaggi interessanti del libro di Walter Siti che può aiutare a fare chiarezza tra la necessità di impegno e ricerca artistica. In tal senso, la necessità e il legittimo desiderio di sentirsi impegnati e integrati nella società può essere castrante per se stessi e per la propria esplorazione artistica, oltre che deleterio per la conoscenza dell'animo umano e della psiche propria e collettiva. L'artista può patteggiare per un partito, ma non può farlo la sua arte: l'arte deve essere libera da questo. All'artista servono gli strumenti culturali giusti per orientarsi negli abissi e ritornare a galla, carico di tesori enigmatici, ma non può essere il faro per la bontà morale di un epoca. Questo lo scrivo in primis per me stesso, perchè mi sento meglio quando sono sgravato dai pesi che la cultura vorrebbe farci usare.
Non ho voglia di manifesti o di sentirmi parte di un movimento o di un gruppo. Voglio essere nel presente con la mia libertà emotiva, e se non avrò chiarezza vorrò comunque essere senza sentirmi obbligato ad esserci. Il libro di Walter Siti offre tantissimi altri spunti di riflessione, e trova il modo di approfondire più specificamente su vari aspetti della cultura contemporanea e della letteratura. Cercare di riassumerli qui sarebbe troppo difficile. Spero che quello che ho scritto sia suggestivo e possa suggerirvi di comprarlo.
L'arte rivela. Non è una sedia da dentista, non è lo strumento di una comunità, non è la cassetta magica dell'operatore culturale. Fare arte non è rilassante, a volte può esserlo ma a volte può essere faticoso, e quello che porta a galla non sempre è gradito e riconosciuto. Perciò non bisogna pensarsi come "operatori culturali", ma piuttosto come delle sonde, esseri sensibili che vanno a pescare laddove nessuno può arrivare, e ciò che pescano nessuno sa esattamente che forma abbia, nemmeno il pescatore.
ZEITGEIST.
In questa necessità di fare chiarezza tra la libertà dello spirito espressivo, il desiderio di essere/esserci e la gratificazione di essere riconosciuti per il proprio "impegno", mi sento di accennare qui brevemente ad una parola che qualche mese fa ho casualmente letto su Facebook (a proposito, dettaglio non trascurabile: ho abbandonato Facebook) e il cui significato sono poi andato ad approfondire su Wikipedia: questa parola è Zeitgeist, una parola tedesca che concettualmente viene tradotta come "Lo spirito del tempo". La nostra fiducia nella democrazia e nell'emancipazione dell'individuo, nel progresso tecnologico, nell'ecologismo impegnato e quel senso di partecipazione ad una società più giusta e più ecqua che sembriamo ricavare anche semplicemente consumando un veg-burger o comprando una confezione di biscotti A km zero imbustati con materiale biocompostabile ci ha fatto dimenticare lo Zeitgeist.
Come l'ego è lespressione irrigidita della persona, allo stesso modo lo Zeitgeist esprime il nucleo di una società e del suo tempo. Non siamo fatti di democrazia, ma di tensioni politico-emotivo-ideologiche. L'arrivo della pandemia credo che abbia portato alla luce prepotentemente lo spirito dei tempi che stiamo vivendo. La democrazia non nasconde o scioglie lo Zeitgeist, permette semplicemente a tutti di parteciparvi e di esserne più o meno schiavi o più o meno orchestranti. Non si tratta di decidere se far parte dell'orchestra o subire passivamente lo spettacolo, non è qui che trovo il mio equilibrio e la mia soddisfazione: si può uscire dal teatro e andare dove lo Zeitgeist non arriva, per sentire gli umani che siamo, e come artisti essere emancipati dalle influenze più deleterie che la cultura o Zeitgeist dei nostri tempi esercitano sull'individuo, come i lunghi tentacoli di un polipo o un grosso ragno dalle mille zampe. Bisogna riconoscerlo e studiarlo, non per farne un nemico contro cui lottare o per migliorarlo, ma esaminarlo come il mare nei differenti stati atmosferici; può essere bello e affascinante, schiumoso o inscrespato da bianche scremature, piatto a perdita d'occhio, infinito nella bonaccia, ma i suoi flutti possono diventare i nostri peggiori nemici, sommergerci e ucciderci.