Allora comincio oggi con una importante figura del secondo 900, forse un po' sottovalutata o comunque poco conosciuto:
Guy Debord.
Guy Debord è stato uno dei più importanti esponenti del Situazionismo, l'ultima grande corrente avanguardistica del 900 che si proponeva di rivoluzionare la vita e la società.
Quando avevo 20 anni sono stato enormemente affascinato dal movimento Situazionista: il Dadaismo lo avevo esaurito, i futuristi mi stavano sulle palle, i surrealisti mi avevano incuriosito, i cubisti mi lasciavano perplesso, ma tutti gli "ismi" erano comunque interessanti perciò questo ultimo movimento che si proponeva come l'unico vero movimento rivoluzionario del 900 divenne per me un punto di riferimento. Perciò lessi "La società dello spettacolo", importante saggio scritto appunto da Debord, che diventò quasi (dico quasi) una bibbia del mio approccio all'arte, e mi comprai addirittura la raccolta di tutte le uscite de "L'internazionale Situazionista", che fu la rivista principale del movimento dal 1958 al 1969.
In quello stesso periodo vissi a Firenze per circa due anni, e alla libreria Feltrinelli della città, che mi piaceva frequentare perchè era gigantesca, trovai una rivista di critica e saggistica che si presentava con enigmatiche copertine, si chiamava "Invarianti", e vi si trovavano articoli di antropologia, estetica, geopolitica, ma oviamente era il tono della rivista a risultare attraente. Era una rivista Italiana e la sua prospettiva culturale era per l'appunto di area Situazionista. In particolare ricordo un lungo articolo di approfondimendo sul fenomeno "Luther Blisset", che tendeva a smascherarne gli autori e mettere in luce il suo aspetto più truffaldino e illusoriamente rivoluzionario. Come i Situazionisti, il gruppo di intellettuali di invarianti sparavano colpi duri in maniera elegantemente sprezzante, creativa e spietata.
Perciò oggi non so esattamente cosa ci sia in me di Situazionista o di Debordiano. Ma qualcosa credo che ci sia, e probabilmente chi mi conosce dirà che io sono situazionista fin dalla nascita.
Mi viene in mente per esempio la psicogeografia, che è una metodologia di indagine dello spazio urbano teorizzata negli anni 50 dal movimento Lettrista, e che fu tanto cara ai Situazionisti, un attidune psichica prima ancora che culturale, di percepire lo spazio urbano, che Debord definiva in questo modo:
"Per fare una deriva (deriva psicogeografica ) andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l'architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari."
Beh, questo è esattamente ciò che faccio quando vado in cerca di un soggetto. In particolare anch'io ho lo sguardo che tende verso l'alto! Perciò il mio vagabondare è decisamente una deriva psicogeografica. Questo momento di ricerca è molto importante per me, passo interi pomeriggi a girare "a vuoto", osservare e sentire me stesso attraverso le cose. E' in questo modo che ho guardato Oristano e che sono nati diversi lavori in B/N a tema urbano. E' in questo modo che osservo la città girandoci attorno, prendendo stradine di campagna per trovare nuovi angoli, nuove prospettive. E' in questo modo che mi becco valanghe di disagio esistenziale e spleen, che è parte del carburante che utilizzo per creare. Perciò più che rivoluzionario avanguardista, mi sento più Goethiano, più romantico, cioè mentre per le avanguardie la spinta al cambiamento e l'utopia è il motore della creatività, per me invece è il dolore, il disagio, la "noia" esistenziale il vero fuoco perverso dell'arte.
Qui maggiori informazioni a proposito di Situazionismo:
https://1995-2015.undo.net/it/magazines/1332427537
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