mercoledì 29 aprile 2020

Fattorie e cieli.





Questo dipinto l'ho realizzato lo scorso anno in occasione della mostra organizzata a Villanova Truschedu. C'è poco da dire, è venuto piuttosto bene. E le aziende agricole sono un mondo interessante da esplorare perchè sono un miscuglio tra natura, meccanica, ordine e caos. Galline, maiali, cavalli, cani, gatti pecore, capre, vacche, odori rumori e tutto ciò che si muove in questo mondo lì lo puoi trovare. Quindi per un certo periodo ero interessato a trovare soggetti di questo tipo ma il problema è che devi avere il permesso di entrare, e siccome io quando cerco un soggetto mi prendo parecchio tempo e rimango due ore a gironzolare osservandomi attorno, curiosando, facendo foto, e magari a volte non trovo neppure il soggetto e dunque non dipingo, allora sono in imbarazzo prima di decidermi a chiedere di poter entrare in una fattoria perchè penso che mi guardano stortissimo. Ad ogni modo quella volta tra Villanova e Ollastra, nelle due aziende che mi hanno ospitato sono stati molto gentili e non mi hanno guardato storto. Rimane sempre un po' di timidezza lo stesso.




In questi giorni a causa della quarantena ho dovuto dare un taglio al mio desiderio "psicogeografico" di esplorazione dei luoghi e mi sono concentrato su un soggetto che ormai da tempo stava attirando il mio sguardo: il cielo. Il Cielo è fantastico. Ne ho già parlato se non sbaglio, ma ne parlo di nuovo.
Poichè la pittura ad acquerello comporta una serie di sorprese ed effetti (quasi) incontrollabili, e poichè volevo in qualche modo padroneggiare la concretezza del colore per rendere la sensazione di spazialità e vastità trasmesse dal cielo, già da tempo avevo intenzione di provare ad utilizzare i colori ad olio. Cosa che sto facendo. La pittura ad olio è molto diversa da quella ad acquerello. Per iniziare ho comunque fatto alcune prove dal vero cercando di terminare il lavoro entro due-tre ore. Adesso sto provando a fare una prima mano, attendere una settimana che il colore si asciughi e continuare con una seconda mano cominciando a dare carattere al lavoro, per poi eventualmente riprendere con passaggi o ritocchi successivi. Sono ancora in work in progress, quindi questa metodologia è ancora tutta da esplorare e rivedere, ma più o meno, adesso lavoro in questa maniera.






Non potendo uscire per comprare tele, avevo una sola grande tela che ho suddiviso
i cinque parti, per esercitarmi su dimensioni ridotte, nelle quali mi trovo maggiormente a mio agio.
Il lavoro non è ancora terminato, come potete vedere.

Grazie all'olio inoltre si può cominciare a percepire come anche la tela e la pasta cromatica abbiano da parlare. Questa per me è una grande scoperta. Bisogna anzi trovare il modo che la tela e la pasta parlino insieme a te, e certe volte dicono più loro di te. Non posso però dire che sia solo la tela a parlare: perchè se è vero che senza lei non esisterebbe il miracolo della pittura, sono io che decido che pennello usare, che tela usare, e per quanto tempo devo lavorare, ecco perchè mi piace dire che io comunico alla tela e lei comunica con me per dire qualcosa a tutti, per scoprire qualcosa. Questo è un percorso lungo e non bisogna avere fretta. E' bello scoprire cosa la tela voglia dirmi in due ore, ma è altrettanto bello, con calma e pazienza vedere se la tela mi può parlare anche nei giorni successivi, scoprire se posso dirle qualcosa, e a volte questo sembra davvero difficile, a volte sembra terminato, altre volte si scopre che il fascino di un lavoro deve ancora essere scoperto. I cieli in particolare sono estremamente difficili perchè hanno minime varianti cromatiche e la loro grandiosità, la vastità che comunicano è difficile da riportare.
Sono combattuto tra lavori di lunga durata e lavori brevi, ma credo che in fondo i due approcci si compenetrino. Sicuramente per i lavori di lunga durata, ai quali mi ero disabituato, essendo che lavorarvo prevalentemente dal vivo, ci vuole pazienza e costanza e una certa disciplina. E pocihè mi sto in qualche modo abituando o comunque approcciando al lavoro "in live", all'improvvisazione, al flusso (anche in scrittura per esempio), i lavori di lunga durata li trovo più faticosi ultimamente. Beh. Questo è quanto.
Grazie dell'attenzione.

martedì 14 aprile 2020

L'osservatore silenzioso. Autopsia per una resurrezione.







Questa è la testa di un vecchio manichino che mio padre, per un certo periodo, utilizzò come spaventapasseri nel suo oliveto. O almeno, credo che volesse utilizzarla per quel motivo perchè, per diversi anni, la testa è rimasta in bella vista sinistramente conficcata all'estremità di un grosso palo che stava in un un punto dell'orto completamente incolto e colmo di imbarazzi e strumenti per l'agricoltura. La testa è così rimasta per anni in quel punto esposta alle intemperie, al freddo, al caldo, alla pioggia, al sole, all'umidità e a tutto quello che vi può venire in mente. 
Io di tanto in tanto andavo all'oliveto per raccogliere le olive, per suonare con gli amici, per fare provvista di legna, raccogliere aranci o per fare cene, e la testa stava sempre lì, ed ogni volta che andavo la trovavo un po' cambiata a causa delle suddette intemperie, ed ero sempre affascinato dalla sua strana staticità, quella espressione neutra e rilassata, e gli facevo delle foto. 

Adesso mio padre ha venduto l'oliveto, e prima che questo passasse ai nuovi proprietari ho deciso di prendermi questa testa che tante volte si era offerta al mio sguardo, tante volte mostrava i suoi cambiamenti, e quasi mi faceva compagna osservando in silenzio ciò che accadeva intorno a lei, incurante del tempo e dei cambiamenti che porta con se, registrandoli sulla sua superficie screpolata e abrasa. 
Adesso la testa è nel mio salotto, ma sto pensando di metterla in cortile per lasciare che il tempo le offra i suoi segni e lei li accolga con la sua instancabile immobilità.
Prima di questa pandemia stavo studiando un video per lei, un video con tutti i crismi da registrare con tre videocamere e con l'aiuto di diversi amici. Il video lo riprenderò appena sarà possibile, ma intanto l'altro giorno ho passato un pomeriggio a fargli delle foto, senza l'utilizzo d filtri e senza fare alcun editing con Photoshop. Queste sono quelle che reputo migliori.




























































mercoledì 1 aprile 2020

Noia, spleen, ozio e creatività.


Chi mi ha seguito su Facebook durante il periodo della mia ultima mostra, Closed out, saprà che nutro una certa curiosità per l'ozio, la noia e lo spleen. Non ho mai letto libri o  saggi di filosofia che ne parlino, ma faccio di meglio: lo uso. Si, uso l'ozio e la noia. Inoltre desidero parlarne perchè ritengo che nella nostra epoca tecnologizzata, la noia abbia subìto un drastico calo di valore e venga rifuggita.
Allora mi domando cosa accomuna l'ozio, la noia e lo spleen? Eppure sono tre cose diverse, diverse ma vicine. Di sicuro si può dire che tra le tre, l'ozio viene scelto, mentre è più difficile ritenere che uno scelga di annoiarsi o di sprofondare nello spleen. L' ozio inoltre può essere considerato una attività, mentre la noia e lo spleen sono condizioni emotive. Non è escluso però, che chi scelga l'ozio, anzichè trovarsi in una sorta di leggero benessere, cada negli "inferi" dello spleen. Ma è davvero infernale questo spleen?



Sembra che la noia sia quella comunemente ritenuta più fastidiosa, quella a cui si dovrebbe sfuggire, quella in cui solo gli ignoranti o i "nullafacenti" dovrebbero cascare, perchè "una persona intelligente, trova sempre qualcosa da fare". Ma la noia è semplicemente questo? Cominciamo ad esaminarla per avvicinarci ad essa con un esempio banale: la sala d'attesa dal dottore. Quello è il luogo dove tutti impariamo l'esperienza della noia, ma già qui abbiamo un elemento che rende questo tipo di noia diversa da un normale pomeriggio noioso: dal dottore non mi posso muovere, devo stare seduto, sono in pubblico e quindi sono portato  ad assumere un certo atteggiamento, mi trovo dunque in una sorta di "costrizione temporanea"; perciò la noia che si prova dal dottore è decisamente diversa dalla noia che si può provare, che so, in un pomeriggio domenicale.
Il pomeriggio domenicale invece ci può in qualche modo aiutare ad avvicinarci all'esperienza dello spleen. Poichè la differenza tra la noia dal dottore e la noia di un pomeriggio domenicale è data dal fatto che dal dottore sono "costretto" ad annoiarmi, mentre la domenica a casa mia, ho tutte le opportunità per tenermi occupato o incuriosirmi a qualcosa, e invece ciò non accade. Significa che sono proprio "io" (prendiamoci con le pinze) che vado verso la noia e allora non mi posso nemmeno lamentare di non avere cose da fare, non posso giustificarmi con le circostanze, sono proprio circondato da una specie di vuoto. Quindi ecco che la differenza tra noia e spleen ci può apparire come se la noia fosse una condizione nella quale ci troviamo nostro malgrado, causata da elementi esterni alla nostra volontà, mentre lo spleen è qualcosa che viene direttamente dalla nostra interiorità. Si potrebbe dunque dire che noia e spleen sono due condizioni simili ma hanno origini diverse. Il fatto di poter attribuire a cause esterne una nostra modalità emotiva, ci permette in qualche modo di "disconoscerla" e attendere che passi, magari con motti di fastidio e inquietudine e pensieri di quello che farai dopo (uscito dalla sala d'aspetto) e di quello che avresti potuto fare se non ti dovessi sorbire quelle due ore di attesa.



Questa inquietudine, questo fastidio, questo desiderio d'altro che sembrerebbero essere presenti nella noia è ciò che la rendono diversa dallo spleen. Lo spleen è una condizione di confine, in cui si avverte l'insignificanza delle cose, e nemmeno si ha voglia di dargli un significato, ci si lascia andare in qualche modo a questa perdita di valore, senza speranza e senza appetito. Sembrerebbe, detto così, uno stato depressivo, e forse lo è. Ma mentre lo stato depressivo è permanente, lo spleen si svolge nell'arco di un pomeriggio, o al limite qualche giorno, è dunque transitorio. A questo punto perchè non dire che lo spleen è semplicemente tristezza o malinconia? La tristezza viene dagli affetti, o da qualcosa che ci è "andato storto", quindi ha in qualche modo un origine personale. E' però vero che una condizione di tristezza può degenerare a spleen e questo non è raro che capiti. Ma dove sta dunque questa differenza? La tristezza è anche una presa di consapevolezza di qualcosa che è accaduto nella mia vita, un fatto lavorativo, un fatto relazionale, un amico che ci addolora, una persona che ci delude. La tristezza dipende in qualche modo dalle nostre aspettative e dai nostri bisogni intimi, e può essere ricondotta a una serie di cause e avvenimenti che ci rappresentano e che ci hanno coinvolti. Mentre lo spleen sembra non avere alcuna motivazione e scopo, la sua origine appare più oscura ed esistenziale. Lo spleen non cerca bisogni, e non ha mancanze di alcun tipo, nostalgìe o ricordi. E' piuttosto come una specie di tabula rasa. L'insignificanza che è la sua maggiore peculiarità è anche ciò che lo rende transitorio, poichè è quasi impossibile non percepire il valore delle cose per più di un certo tot di tempo. Quando arrivi allo spleen stai già risalendo, è un po' come il fondo del mare, quando provi a immergerti per toccarlo trattenendo il respiro più che puoi: una volta che sei arrivato a toccare la sabbia devi risalire, non c'è molto altro da fare, e pur volendo restare non puoi, poichè a cosa ti aggrappi e a che scopo? la pressione dell'acqua ti riporterà essa stessa verso l'alto. Eppure quante volte ti sei immerso per andare sott'acqua, prendere la sabbia e nuotare trattenendo il respiro?
Lo spleen è dunque una condizione emotiva più insondabile della noia e dificile da decifrare o esprimere. Rimane sempre misteriosa, inquietante e pericolosa, eppure ha un oscuro fascino che ci porta a chiederci in che modo ci arricchisce, che cosa ci offre.


Ma voglio dunque continuare ad osservare la differenza tra noia e spleen? Continuare ad esaminare le peculiarità delle due, per poter poi finalmente comprendere quale delle due è più auspicabile per l'animo umano, quale delle due ha più potere creativo? Quale maggiormente ci arrichisce e nutre o quale delle due ci permette di "aprire la nostra mente"? Not now nor ever. Ciò che è misterioso è più forte di noi e non necessita spiegazioni utilitaristiche. Come se l'una fosse migliore dell'altra o più utile, più necessaria. Come se la creatività avesse un unico luogo d'origine, come se volessi facilitarmi la vita conoscendo finalmente l'origine di tutti gli atti creativi: come uno scienziato pazzo che vuole toccare l'invisibile.
Voglio chiedermi piuttosto se lo spleen è qualcosa che cerco o è qualcosa che accade in me? Questo si. E la risposta forse non arriverà mai.
Grazie della lettura.