sabato 11 maggio 2024

A proposito di campi di calcio abbandonati e malessere sociale.

Ex campo di calcio di Nuraxinieddu


Oggi mentre passeggiavo nella periferia del paese ho notato che l'erba alta che usualmente ricopre tutta la superficie del campo di calcio è stata falciata. Proprio pochi giorni prima, inoltrandomi tra la malva e le ortiche ero entrato negli spogliatoi luridi e pieni di rifiuti e vetri rotti, constatando le condizioni in cui versa quello che era stato il campo in cui mi allenavo con la squadra quando ero adolescente, la Nembo. 

Quando, durante le mie passeggiate, vedo il campo ridotto in queste condizioni, penso a come era la vita a Nuraxinieddu  ai tempi in cui ero bambino e adolescente. C'era parecchia attività aggregativa: la squadra di calcio, quella dei grandi e quella dei piccoli, gli allievi e i giovanissimi. C'era una squadra di pallavolo femminile, per un certo periodo c'è stata pure una palestra di karate. Quando non eravamo impegnati con la squadra di calcio giocavamo tutti i giorni  a pallone nel piazzale della chiesa. Poi c'era una sala dove giocavamo a ping pong, c'erano due bar, un macellaio e tre o quattro botteghe, più un tizio che vendeva frutta e verdura. Le poste, l'asilo infantile e le scuole elementari. C'era il salone parrocchiale. E quando il paese era vuoto, deserto e silenzioso, magari in certi assolati pomeriggi post prandiali, c'erano Gianni Piscedda e il fratello che a qualsiasi ora del giorno fendevano con i loro motorini preparatissimi e rumorosissimi la via principale del paese a tutta velocità ad una sola ruota. Loro aggregavano le bestemmie, più che altro. Poi c'era molto altro di cui non ho ricordo o di cui non sono a conoscenza. Oggi a Nuraxinieddu non c'è più nessuno che impenna, nemmeno in bicicletta. E le vie sono brutalizzate da una quantità inverosimile di automobili parcheggiate ai lati della strada. Di bar ne è rimasto solo uno, non c'è più il macellaio, non ci sono più le scuole, non c'è più l'asilo, non c'è più il salone parrocchiale, non ci sono le poste, non c'è il tavolo da ping pong, non ci sono squadre di nessun tipo. Sono rimaste solo le macchine parcheggiate, un'infinità di macchine, che manco quando c'era la festa del paese se ne vedevano così tante. 

Questo cosa denota? Be, semplice: che la vita del paese è apparentemente morta o, nel migliore dei casi, si è contratta, ristretta, coercizzata su altre metodologie aggregative, che inoltre hanno perso qualunque carattere identitario e specifico del luogo. Lascio a voi considerare e indagare quali siano gli "spazi" di aggregazione oggi e che cosa producono, se uno spirito positivo e creatore o un'agitazione insoddisfatta, mortificante/mercificante e portatrice di malessere e disagio. E sì, non posso fare a meno di pensare che Nuraxinieddu, il mio paese, era un posto migliore di quello che è oggi. Di conseguenza penso che anche tutta la Sardegna era migliore. E se la Sardegna di oggi è peggiore di quella di ieri, penso, allora anche l'Italia lo è. E l'Europa, e il mondo intero.  


Campo di calcio di Tramatza con panchina per prendere il sole

Insomma vedendo quel campo di calcio inghiottito dall'erba mi sono sorti in mente ricordi e pensieri di questo tipo. Per contro-bilanciare questa visione poco benefica e promettente, dentro di me ho provato a pensare che magari questa sparizione delle istituzioni aggreganti è una cosa che è successa soltanto a Nuraxinieddu e che forse negli altri paesi la situazione è diversa. 

Sentivo che si trattava di una ipotesi illusoria ma, visto che stamattina non avevo impegni importanti, ho deciso di fare un veloce giro nei paesi limitrofi, per constatare  le condizioni in cui versano i campi di calcio e usarli come il termometro di una personale verifica socio-antropologica. 



ingresso del campo di calcio di Solarussa, funzionante.


Così ho iniziato dal paese più vicino, che è quasi attaccato a Nuraxinieddu, e come ben ricordavo dalle mie recenti esplorazioni anche lì il campo di calcio altro non è diventato che uno spazio indistinguibile sepolto dall'erba. Dopo Massama ho proseguito verso Siamaggiore: essendo un paesino un po' più grande pensavo di trovare una struttura sportiva in buone condizioni. E invece no. Erba altissima e strutture in evidente stato di inutilizzo. A Solarussa, paese poco distante e più popoloso ho trovato una situazione diversa: il campo è curato e attivo, e nel 2023 la squadra di calcio locale ha persino vinto il campionato di terza categoria. Nel paese è presente anche un modesto impianto di campi da tennis. A Zerfalìu, paesino distante poche centinaia di metri da Solarussa si ripete la situazione di abbandono. Nel muro di cinta del campo noto una stampa di grande formato che informa di un progetto di "riconversione" degli impianti sportivi iniziato nel 2020. Si dovrebbe edificare una piscina coperta, ma non vedo traccia di lavori fatti o in corso. Parcheggio la macchina per inoltrarmi in uno sterrato aggredito dall'erba che mi porta fino all'ingresso di un campo di calcetto nascosto in quella desolazione ma perfettamente utilizzabile.  



Tramatza. Norme di comportamento all'ingresso del campo


Da Zerfalìu prendo per Tramatza dove trovo un campo di calcio apparentemente abbandonato, ma le strutture degli spogliatoi parlano di una storia calcistica recente fatta di onore e gloria: infatti il "US Tramatza 1972" ha disputato un campionato di seconda categoria nel 2022. E' da allora che il campo è in stato di inutilizzo. Su un lato del piccolo complesso sportivo c'è un campo di calcetto, munito di chiosco con sedie in plastica e barbecue, da cui si intuisce il minimo sindacale di attività socio-sportiva del paese.  Quale sarà la situazione a Zeddiani? Nel paese mi è stato difficile persino trovare il campo di calcio. Dopo avere ricevuto una serie di informazioni contrastanti e dubbiose sulla sua locazione, faccio il giro del centro abitato a vuoto e comincio a dubitare che sia mai esistito. Questo campo di calcio sembra un mito. Poi finalmente lo trovo. A una prima occhiata non sembra ridotto malissimo ma lo stato di inutilizzo è evidente e mi è confermato dalla fruttivendola, che da me velocemente interrogata in proposito mi parla di attività sportiva locale risalente a "...dieci, quindici anni fa". In compenso anche a Zeddiani non manca un campo di calcetto ben tenuto, una delle poche attività sportive amatoriali ancora praticate da gruppi di amici autorganizzati. 

Qui ho terminato la mia modesta indagine sulla vita sociale/sportiva dei paesi del mio circondario. Ne ho concluso che questi campi abbandonati, desolati, assolati o nascosti dall'erba altro non sono che lo specchio della vita sociale: funzionano o non funzionano? Ci sono o non ci sono? Vanno riconvertiti o risorgeranno? Per adesso viviamo in una società capitozzata come gli alberi delle vie cittadine, sacrificata, costretta, costipata, ristretta, asfissiata, mortificata, imbruttita. E spesso gli alberi capitozzati non si riprendono.  

domenica 17 marzo 2024

Un monumento alla non-vita.




Ad Oristano, in Piazza Roma, che è la principale piazza della città, si ergono due importanti monumenti: la Torre di Mariano II, risalente al XII secolo, il palazzo SO.TI.CO. risalente agli anni 50. 

La Torre di Mariano II è testimone della storia medievale del popolo Sardo e il palazzo SO.TI.CO. è rappresentativo della storia recente, Oristanese e Italiana. A questi due grandi monumenti architettonici, da circa otto anni è stato inconsapevolmente aggiunto un terzo, grottesco monumento, che attira il mio sguardo ogni volta che mi trovo a passare nella piazza: ovvero il grande ex-ficus capitozzato posto sul lato ovest all'imbocco con Via Tharros. Ormai questo albero non è più in grado di fogliare decorosamente, è grigio, statico, immobile e freddo come un monumento, e perdura in queste condizioni da almeno 8 anni. 

Questo ex-albero, poichè mi ha sempre suggestionato, l'ho ritratto in diversi lavori che ho realizzato in epoche diverse.  Poichè sono molto meticoloso e lavorando dal vero ritraggo esclusivamente ciò che si presenta al mio sguardo, osservando i miei disegni e cercando informazioni su internet ho provato a ricostruire la storia degli interventi che questo albero ha subito negli ultimi anni. 



Un primo disegno del 2017 che testimonia le condizioni dell'albero dopo la prima capitozzatura.


La prima capitozzatura non può essere successiva al 2017, ed è testimoniata da un mio disegno che risale a quell'anno. Da questo schizzo si può evincere che la ramificatura rimanente dopo l'intervento era dotata ancora di qualche ramo importante che si allungava ai lati del tronco, delimitando lo scheletro di base della pianta, comunque già corrotta della sua magnificienza e totalmente privata della chioma. Ma dal disegno del 2023 vediamo chiaramente che anche quei rami sono stati successivamente tagliati, lasciando al tronco solo pretuberanze monche, grevi e inquietanti. Poichè mi sembrava assurdo che un albero già drasticamente potato avesse subito un secondo, letale intervento, per sincerarmene ho cercato informazioni su internet ed ho potuto sapere che, a causa del distaccamento di un grosso ramo lungo sette metri caduto sul manto stradale in una notte D'agosto del 2019, i vigili del fuoco provvidero la notte stessa a liberare la strada dal ramo spezzato e a "Tagliare altri rami con imminente pericolo di caduta".  

Quindi quello che non è più un albero, ma il suo fantasma, sta in queste condizioni pietose da quasi cinque anni. 

Poichè come ben spiegato dai siti di arboricoltura la capitozzatura indebolisce gravemente l'albero e lo espone a crolli e malattie di vario tipo, mi domando se la causa del crollo di quel ramo sia dovuta alla capitozzatura a cui venne sottoposto. E mi domando anche se il momento più opportuno per verificare la stabilità dei rami di un albero sia una notte d'estate, e se quei rami siano davvero stati esaminati o non abbiano piuttosto subito un taglio avventato "preventivo". 




Proprio come per certi monumenti cittadini che si vogliono esaltare con proiezioni e giochi di luce colorata, per un bizzarro gioco del destino, quando cala la sera lo scheletro di questo ex albero viene inondato di una intensa luce verde proveniente dalla vicina insegna di una farmacia. E' il frutto inconscio del desiderio di ristabilire un equilibrio cromatico perduto? O è uno scherno, una forma di macabro umorismo? Le ombre che proietta non rimandano alla chioma perduta e alla verde vita dell'albero, ma sono lugubri e inquietanti. 

Non mi voglio dilungare su cosa rappresenti questo monumento, che appare più morto e inanimato di qualsiasi altra statua in bronzo o marmo che troneggia nelle piazze cittadine. 

Dirò solo che lo reputo un emblema di pochezza spirituale, e che mi dispiace per lui.  

domenica 3 marzo 2024

Dolce madre della notte, Lontra Bianca non è più un ragazzo.

Pretty Mother of the nigth, White Otter is no longer a boy. Fredric Remington - 1900

 

Oggi, domenica 3 Marzo, alle 14: 05 ero seduto a tavola e mangiavo una salsiccia arrosto mentre ascoltavo distrattamente il telegiornale della terza rete che parlava della situazione a Gaza, quando una frase mi è balzata all'orecchio, rimanendomi impressa: 
"Avete visto cosa provocano gli aiuti umanitari via terra dopo L'INCIDENTE di Giovedì"
Le parole sono state pronunciate dall'inviata del TG3 in Israele, che stava esprimendo una propria impressione, non riportava la frase di nessun politico. E "L'incidente" a cui si riferiva sarebbe quello dei 106 morti di tre giorni fa tra la folla che assaltava e attendeva gli aiuti umanitari nella striscia di Gaza, causati direttamente o indirettamente dagli spari dei soldati Israeliani, provenienti da fucili, droni e artiglieria.

Credo che stiamo vivendo un momento abbastanza importante dal punto di vista dell'osservazione della  propaganda e del movimento narrativo degli stati e in particolare di quello Italiano, che possiamo tranquillamente osservare tutti ogni giorno o, per lo meno, può farlo chi è abbastanza sveglio e pone interesse sulla questione. Perchè a mio parere la propaganda è proprio quella cosa che ti bevi senza sapere esattamente cosa sia, ma la bevi perchè ne hai bisogno, non perchè sei fesso.

Per osservare la propaganda occorrono due cose: la prima è un certo grado di emancipazione emozionale e spietatezza psicologica. Sarò breve: bisogna essere liberi dal bisogno di trovare continuamente un colpevole, un responsabile e un anticristo a cui imputare i mali che ogni giorno accadono in questo pianeta. Se sei preda di questo bisogno continuerai a rimanere cieco e berti gli intrugli che ti propinano. Ma non credere di essere l'unico: i primi a bersi quegli intrugli sono proprio i giornalisti, che ne hanno bisogno più di te, altrimenti non sarebbero lì in prima linea a fabbricarli.

La seconda cosa che occorre è paragonare le notizie sull' Ucraina e quelle sul conflitto Israelo/Palestinese, e non bisogna essere laureati in semiotica dell'informazione per notare le differenze. 

Ecco il primo paragone: ai tempi del presunto massacro di Bucha, i servizi dei vari tiggì urlarono  rabbiosamente il loro sdegno per settimane: la denuncia era implicita nei servizi giornalistici, che narrarono i fatti come ad esserne testimoni diretti ( video e testimonianze venivano per lo più da fonti ucraine ) e si dava per scontato che il responsabile fosse non solo l'esercito Russo, ma Putin in persona, e seguendo la via delle sparate di Zelensky si invocava l'incriminazione alla corte dell'AIA per crimini di guerra del presidente della Russia. I giornali insomma si mostravano parte attiva nel denunciare gli eventi.

Ovviamente per creare i tempi di guerra la prima cosa che fa una informazione malata è quella di presentare lo stato avversario come l'anticristo, e invocare un processo alla corte dell'AIA serve per l'appunto a coercizzare l'opinione pubblica sul dualismo infantile dei buoni e cattivi, che è la metodologia di dibattito pubblico su cui si fondano tutte le guerre che si fanno e che si sono fatte nei secoli, dall'era nuragica ad oggi. 

Tenendo aperto questo confronto tra i due fatti, quello di Bucha, e quello di Giovedì scorso in Palestina, apro una parentesi sul livello visivo in cui questi fatti sono stati lanciati nella memoria collettiva, per una suggestione su cui riflettere: per Bucha nell'immaginario ci ricordiamo di una Jeep che che passa zigzagando tra cumuli di vestiti stesi a terra che poi capiamo essere persone morte, i fatti di Gaza invece  passano come un video in bianco e nero dove si vedono migliaia di formichine muoversi convulsamente che poi capiamo essere Palestinesi affamati. Chiusa parentesi. 

Continuiamo col paragone: oggi, Domenica 3 Marzo, prendo atto che dopo soli tre giorni i telegiornali hanno già smesso di parlare del massacro di Giovedì scorso come fatto principale della guerra di Gaza: si menziona solo secondariamente, come una delle cose che accadono in quella porzione di mondo, mentre ai tempi di Bucha invece sembrava che in Ucraina non ci fosse altro che quella cittadina e che la guerra si combattesse solo e soltanto a Bucha. 

Seconda cosa è il come se ne parla: i tg in questo caso non sono parte attiva, non si fanno portavoce di una testimonianza tragica, lugubre, inumana, capace di indignare le coscienze e risvegliare il senso civico e il giudizio divino come invece avviene per la guerra d'Ucraina. 

Ma senza andare troppo lontano nel tempo guardiamo a come è stata portata avanti la notizia sulla morte di Navalny, in cui molti Tiggì danno per scontato che questa persona sia stata uccisa, e che ci sia un mandante, e che quel mandante sia Putin l'Anticristo. Paragoniamo questo atteggiamento con la frase della giornalista con cui ho aperto questo post: "Avete visto cosa provocano gli aiuti umanitari via terra dopo L'INCIDENTE di Giovedì scorso". Qui la giornalista chiude il caso derubricando la morte di 106 civili che attendevano gli aiuti umanitari ad un INCIDENTE, la cui causa sarebbe da ricercare non negli spari diretta responsabilità dei soldati dell'esercito Israeliano, ma dal modo in cui gli aiuti umanitari sono stati portati a Gaza. Ora, tutti avete un cervello e mi pare che analizzare questa frase sia veramente un gioco da ragazzi, e capire che, se la stessa cosa fosse accaduta in Ucraina, i 106 civili morti sarebbero stati raccontati come il frutto di un MASSACRO deliberato dell'esercito e il primo ad essere accusato sarebbe Putin. Ora, vi sembra che Netanyau e il suo esercito si stiano beccando l'indignazione e la rabbia bavosa del sistema mediatico italiano? Chiaro che no, perchè di indignazione della cosidetta "comunità internazionale" si è parlato solo il giorno successivo a questo massacro, per poi parlare di negoziati del cazzo e missili Houti sulle navi mercantili, mentre sui fatti di Bucha si è vomitata bile e indignazione per settimane, senza sosta. 

A proposito di negoziati, ora che mi viene in mente farò anche questa osservazione: sulla guerra in Palestina si parla spesso di "negoziati", scambio di prigionieri e diplomazia, e anche questa cosa desta attenzione e sorprende non poco: ovvero, come è possibile che l'esercito Israeliano riesca a parlare con quei cattivoni sterminatori terroristi senza cuore dei miliziani di Hamas? Ma quelli non sono buoni solo a sequestrare gente e sgozzare bambini? Come fanno a farci dei negoziati? Sulla guerra in Ucraina, per contro, non si sente mai parlare di contatti tra i due eserciti, eppure i prigionieri si fanno dall'una e dall'altra parte, possibile che tra Ucraini e Russi non vi sia nessun tipo di contatto, buio assoluto? E' chiaro che se tu, giornalista, mi fai un servizio di cinque minuti sullo scambio di due prigionieri nella Striscia e poi mi parli per  trenta secondi dello sterminio di 106 persone come se fosse un'INCIDENTE casuale, mi stai dando il messaggio di un esercito impegnato nella diplomazia e nel dialogo, capace di una altissima attività relazionale come piace tanto a noi occidentali, e mi scade invece l'immagine di un esercito massacratore come viene in mente che sia un esercito che ammazza 106 persone che aspettano un po' di cibo, e che ammazza 13.000 bambini in pochi mesi come nessun'altro esercito è riuscito a fare nel mondo in questi ultimi 50 anni. 

 Ora, preso atto di tutto ciò, a me viene da pensare che questa giornalista che ha detto quella frase chiudendo il servizio, sia un tantino condizionata dalle politiche mondiali occidentali. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma questa è la mia impressione. Poi, poterei essere io che sbaglio. Potrei essere io che mi faccio pigliare dalle prime impressioni. Intanto, mentre io continuo a dubitare e guardare con attenzione i tiggì nazionali mentre mangio salsiccia arrosto, quelli continuano a morire, ammazzati dallo specialissimo esercito dell'unico "baluardo della democrazia" presente in medio oriente. Ma bisogna solo pazientare un pochino: prima o poi tutti i terroristi cattivi saranno eliminati e allora finalmente laggiù sarà pace, arcobaleni e mazzi di fiori e noi potremo continuare a consumare, inquinare e riciclare come al solito.

 

giovedì 19 ottobre 2023

Sorridere per essere nessuno.

 Questo post contiene un mix di alcuni degli ultimi lavori e un breve scritto che si intitola, per l'appunto,

"Sorridere per essere nessuno". Lo trovate alla fine delle opere.


Gabbiano Veneziano.
Acquerello su cartoncino colorato


Gabbiano Oristanese che volava sopra la spiaggia di Torregrande,
come vedete assomiglia molto al gabbiano Veneziano.
Acquerello su cartoncino colorato cm. 60x40 circa.
A proposito, non l'ho fatto dal vivo perchè il gabbiano non riusciva
a stare fermo mentre volava




Mormora



Spiaggia di S'Archeddu e Sa Canna, zona Sinis.
Realizzato dal vero, mi ha parecchio soddisfatto il colore del mare
realizzato con pochi tratti. Il mare è sempre ostico, ma mai quanto
una distesa di cespugli. Per esempio la macchia mediterranea,
quella è parecchio difficoltosa, ma a poco a poco sto imparando.
Non bisogna ossessionarsi sulla forma ma abbandonarsi al gioco del
colore: bisogna trovare la propria pennellata per rendere il
movimento della natura.








Donna matta che parla al cane. Questa donna era proprio matta, ha
parlato al suo cane, che tra l'altro nemmeno voleva starla a sentire, per almeno
un quarto d'ora buono. Uno spettacolo della natura.



Indovinate voi cosa è questa COSA.
Matita su carta cm 25 x 15 circa



Questa pera me la sono osservata per bene, era un bel
pomeriggio e un sole dolce la carezzava. Le nature morte non dovrebbero
chiamarsi così. Sono vivissime invece.
E' un gap filosofico/spirituale che bisognerebbe correggere.



Sorridere per essere nessuno. 


Sorridere di fronte al sangue, di fronte alla morte, di fronte alla violenza, di fronte ai sessi, di fronte al malessere, di fronte a un capo di stato, di fronte ai fucili, ai mitra e ai cannoni. Sorridere quando ti pisci addosso, sorridere dal dentista, in banca e dal macellaio. Sorridere di fronte a un omicidio, sorridere per una carneficina, sorridere dei disastri, delle esplosioni, sorridere mentre ti deridono. Sorridere alle medaglie, sorridere in tribunale, di fronte al deserto, di fronte alle tempeste, di fronte a un naufragio, di fronte alla fame, di fronte a un bambino, di fronte all'inverno. Sorridere sotto la pioggia, sorridere a un concerto jazz. Sorridere a un funerale, sorridere per l'inflazione, per le tasse, per la malattia, per l'eutanasia, per la vecchiaia, per l'incontinenza altrui, sorridere durante il telegiornale, sorridere al buio, nel terrore. Di fronte al cancro, di fronte al tumore. Sorridere mentre cadi, sorridere di fronte alle rovine, sorridere mentre gli altri soffrono, sorridere in Gertrud kolmar Strabe, sorridere a Piazzale Loreto, sorridere ad Auswitz. Sorridere mentre ti sgozzano e mentre ti squartano, di fronte a un precipizio, sorridere mentre ti sfracelli e sanguini. , Sorridere di fronte allo Chef, anzi a lui spaccargli tutti i denti. Sorridere dell'estasi e della storia, sorridere delle marce, sorridere in chiesa, sorridere in penombra, sorridere a un miocrofono, sorridere mentre urli, mentre ti spezzano le gambe, sorridere mentre uno sconosciuto stramazza a terra, sorridere come un terrorista, sorridere con i malati di mente, con i bambini, con i neonati, sorridere nella foresta, nei boschi, in mezzo alla tormenta. Sorridere nell'oscurità. Sorridere in cammino verso il nulla, sorridere senza una meta, sorridere agli scrittori insulsi, sorridere ai poliziotti che ti sparano, sorridere agli impotenti, sorridere a chi ti giudica, sorridere a chi ha le mani enormi, sorridere ai professori, a un omicida. Sorridere a chi sa il fatto suo; anzi a lui come allo chef, bastonate nel cranio, prendiamo una sbarra di ferro pesante e dura e pestiamogli la testa in modo che esca il sangue denso, e guardiamolo ragrumarsi nell'asfalto bollente mentre sorridiamo. Sorridere lungo il fiume, nella nebbia, tra le colline sconosciute delle campagne Thaillandesi. Sorridere a una donna che ti saluta, sorridere alle capre della Mongolia, sorridere alla luna, sorridere accecati dal sole, senza vedere. Sorridere al vento, sorridere mentre urli e mentre piangi, sorridere mentre ti abbuffi di cibo marcio e puzzolente esalante fumi tossici, sorridere mentre decanti una poesia, sorridere la notte di Natale, sorridere mentre attraversi la strada, mentre affoghi, mentre un pescatore lancia l'esca. Sorridere alle stelle, al digiuno, alle diete, ai muscoli, alla diversità, sorridere alla fine, ai discorsi, all'intelligenza, alla bestialità. Sorridere ai cori, al bel canto, alle schitarrate, ai direttori d'orchestra. Sorridere mentre brindi al sorriso.


Grazie per l'attenzione.






domenica 28 maggio 2023

Tre galli e un'oca.




Ecco un bel gallo che ho realizzato pochi giorni fa, su commissione. La grandezza è di circa 50 x30 centimetri, è un formato un po' più grande del solito che uso. Sono soddisfatto e mi piace abbastanza lo sfondo. Per il dettaglio azzurro a sinistra del gallo ho incollato un piccolo pezzo di cartoncino colorato, per ottenere un colore bello saturo che con l' acquerello non avrei mai potuto rendere.





Altri due galletti, realizzati su cartoncino colorato, formato 18x13.




Questo invece è un oca. L'ho fotografata al parco comunale di Oristano, dove si trova un laghetto che ospita una bella colonia di oche. Mi piace molto questa illustrazione, per rendere il bianco del pelo ho buttato giù parecchio colore ad acquerello. Anche questo è realizzato su cartoncino colorato, il formato è circa 22 x 13.

martedì 16 maggio 2023

Luoghi comuni, quelli belli.


Marina di Torregrande, la torre.


In questi ultimi giorni mi sono dato da fare su vedute di aree urbane che, a mio avviso, rappresentano e sono espressione di una memoria e di una cultura comune. L'idea di fondo era quella di creare delle piccole opere opere che raccontassero i luoghi urbani più conosciuti e frequentati, sia da chi vive quotidianamente la propria città, sia da chi si trova a visitarla. 
Come avrete avuto modo di notare, scelgo spesso i miei soggetti urbani a prescindere dalla loro importanza storica e dalla notorietà che hanno: prediligo la periferia al centro, i palazzi moderni e imponenti alle più contenute strutture storiche del centro città. Del soggetto mi interessano le dinamiche cromatiche, il movimento dei volumi, il gioco delle ombre e più in generale il fascino misterioso delle forme. Mi piace poi osservare la grandiosità delle strutture, navi, industrie o capannoni che siano. Se le mie opere raccontano qualcosa, mi piace che raccontino il groviglio della modernità e i suoi strani e colorati assemblamenti, l'imponenza dell'industria o la sua decadenza e l'inquietudine che tutto ciò emana. Nel caso della natura, mi piace soffermarmi sulla vastità dello spazio e sull'aspetto più selvaggio, impressionante e suggestivo, sulla sua inafferrabile verità. Ma, grazie anche all'esperienza maturata con le illustrazioni che ho realizzato - e a cui sto lavorando - per il libro che racconta il Cammino minerario di Santa Barbara ( e che sarà pubblicato da Carlo Delfino Editore il prossimo autunno), ho imparato sempre più a illustrare un luogo nonostante le condizioni estetico compositive mi apparissero, a prima vista, poco suggestive o tremendamente ostiche e difficoltose. 


Piazzetta tre palme.



Ho imparato insomma a filtrare il soggetto e cercare di ricavare l'essenza da esso. Per fare ciò bisogna lavorare su due piani: uno tecnico/pittorico e l'altro estetico/spirituale. Sul piano tecnico, compositivo e cromatico, si tratta di lavorare sulla sintesi e sulla compostezza degli elementi, sull'armonia e sull'ordine. Si osserva il comportamento dell'occhio di fronte alla propria composizione per darle forma, misura e vibrazione a mano a mano che essa prende vita sul foglio. Sul piano estetico/spirituale invece il lavoro è più labile e sfuggente, ma altrettanto importante: nella scelta del soggetto per esempio occorre concentrarsi sull'istinto e sulla prima, transitoria impressione. Cerco di andare oltre l'apparente banalità lavorando su suggestioni di bassa intensità cercando di carpirne la provenienza, anche a livello visivo, valutando quali possono essere le fonti formali e cromatiche che emanano quella particolare attrazione senza le quali il soggetto non sarebbe lo stesso. Spesso le condizioni di luce giocano un ruolo fondamentale nel fascino emanato dal soggetto. Un monumento, una piazza, le superfici dei muri assumono una particolare vita a seconda di come il sole le illumina. In quel momento l'universo è capace di aprire una finestra sul suo potere ed è bello cercare di percepirlo. 


Oristano, Piazza Roma. Palazzo So.Ti.Co.
l'albero "Capitozzato" e, naturalmente, la Torre di Mariano II


Una veduta che sarebbe più corretto dire "In" Piazza Roma:
qui ho voluto prediligere la grandezza e la particolarità
delle piante, la piazza rimane quasi sullo sfondo.



E' proprio sulla scorta dell'esperienza maturata con questo duplice lavoro che ho concepito queste piccole vedute e scorci di alcune aree urbane di Oristano e zone limitrofe. Come ho già detto intendevo illustrare "luoghi comuni": dando cioè un accezione positiva, intendo definire provocatoriamente con questo termine quei posti della città che tutti conosciamo bene e che fanno parte della nostra memoria collettiva e storica. Mi sono ritrovato a mio agio nel raccontare e illustrare queste piazze concependole come parte del potere emanato da quello stesso universo che dà forma a un albero secolare come a un mercantile all'ormeggio o ad una miniera abbandonata tra le montagne selvagge.


Piazza Eleonora.


Milis. Un piccolo notturno.


Sono lavori che ho affrontato con leggerezza e cura, concepiti come delle istantanee, come polaroid o cartoline di viaggio, sono realizzati su cartoncino colorato in piccolo formato: la loro misura è di cm. 20 x 14 e gli strumenti utilizzati sono per lo più acquerello, penne e pennarello. 
Grazie dell'attenzione.

martedì 11 ottobre 2022

Preghiera all'Amore.

 



Dio dell'amore quando mi sentirai pronunciare il tuo nome fingi che io non esista. Lasciami solo, nel potere di questa solitudine. Lasciami contemplare questa misteriosa vanità, non togliermi il desiderio di scoprirne la fine. Graffiami la pelle se vuoi, di modo che io non possa dormire. Strappami i vestiti, lascia che il vento mi frusti le pupille, lascia che la grandine scalci sulla testa, ma non ascoltare la mia voce. Schiacciami verso terra ma portami negl' incubi, portami nella paura, portami nelle cose sconosciute, fai in modo che io non possa sospettare un futuro, toglimi le speranze, rendimi affamato. Considera sciocchi i miei desideri e mischiali come un mago mischia le carte, allo stesso modo confondili. E se mi vedi piangere fai in modo che le lacrime non si secchino, lascia che giungano fino a terra arricchendola col mio dolore. Non ascoltarmi ma lasciami pregare nessun Dio, portami nel deserto, nel silenzio della notte, nella foresta più oscura. Ignora la mia voce e le mie parole, portami nelle cime dei monti tra i bordi di un precipizio e lasciami rischiare.