mercoledì 24 novembre 2021

Cagliari repòrt.





E' da circa tre o quattro anni che ogni tanto mi viene in mente di fare un bel lavoro su Cagliari, poi metto da parte l'idea per svariati motivi, primo dei quali la distanza che mi separa dalla cittadina e secondo motivo i vari lavori che ho in questo momento aperti ( tra cui un progetto molto importante di cui parlerò prossimamente e a cui tengo molto ). Però qualche mese fa mi è capitato di dovermi recare a Cagliari per un guasto alla macchina, e poiché si trattava di un danno di una certa rilevanza ho deciso che piuttosto che rientrare in treno a Oristano in attesa della riparazione, sarebbe stato meglio rimanere a dormire a casa di mio fratello, che mi ha gentilmente ospitato in città per diversi giorni.

Così ho portato con me tutto il necessario per dipingere e disegnare dal vero. Mio fratello mi ha messo a disposizione il suo monopattino "Comprato con gli incentivi statali" che si è rivelato uno strumento UTILISSIMO per le mie esplorazioni cittadine. Naturalmente, non conoscendo bene la città e a causa della difficoltà di spostamento sui lunghi viali trafficati, ho deciso di limitare le mie esplorazioni ad una delle zone più suggestive di Cagliari e ricca di vedute, oltre che semplice da raggiungere e da visitare: le strade attorno a Castello, Viale Buoncammino, Viale Maria Regina Elena, e la zona di Castello e del Bastione.





Come già ho detto altre volte, approcciarmi al disegno dal vero su Cagliari è stato per me piuttosto difficile, poiché ero abituato alla dimensione "Paesana" e campagnola di Oristano, mentre la grandezza di Cagliari, la sua estensione, i suoi grandi viali, gli enormi palazzi, le sue molteplici situazioni urbane la rendono ostica alle mie abitudini pittoriche. Cagliari si presenta come cresciuta su vari livelli, sembra vivere su dimensioni spazio temporali differenti, è davvero difficile anche semplicemente orientarsi per rientrare a casa, e non si capisce se sono i palazzi a sbarrarti la strada o è l'ostinazione della natura che coi suoi stagni, saline, canali, alture, colline e canyon cittadini detta le regole dell'urbe e ne dirige le caratteristiche giocando come un ingegnere pazzo. 

Ad ogni modo, una volta superate le titubanze ho cominciato a disegnare proprio i soggetti più difficili. Oserei dire mostruosamente difficili: ovvero la città vista dall'alto. Non so nemmeno io perché ho cominciato con questi, forse perché sono panorami talmente presenti mentre si sale verso Castello, o forse perché ero curioso di vedere quanto fosse difficile. Ho iniziato a disegnare praticamente per rompere il ghiaccio, e soprattutto perchè la settimana prima ero già sceso a Cagliari con l'idea di dipingere ma mi ero limitato a girovagare cullandomi nell'ozio e nell'incertezza, abbandonandomi alla psicogeografia situazionista senza prendere mai in mano penne o pennelli, perciò era venuto il momento di passare all'azione.  

Dopo il primo disegno, che ho realizzato in condizioni di luce assolutamente sfavorevoli ma che mi è servito come approccio iniziale e grazie al quale ho cominciato a rapportarmi con le molteplici geometrie dei palazzi e con la vastità del soggetto, mi sono spostato verso Viale Buoncammino, che si trovava a pochi passi dalla terrazza su cui mi ero fermato. Qui le vedute erano ugualmente complicate ma esteticamente più apprezzabili. Dopo un primo, insignificante e raffazzonato schizzo ad acquerello capisco che avrò bisogno di allenare lo sguardo per un po' di tempo prima di acquisire un po' di  confidenza con lo spazio, e per fare ciò mi serviranno strumenti più semplici e con i quali ho confidenza da maggior tempo: le penne e il pennarello.

Messo da parte il colore, decido di fare degli studi, di concentrarmi sui rapporti tra le forme e sul loro dinamismo, cercare di rispettare le proporzioni senza ossessionarmi sulla forma e lasciando spazio alla morbidezza del pennarello e al suo desiderio di scorrere nel foglio con simpatia e semplicità. 

E a poco a poco trovo l'approccio giusto e le vedute dall'alto non mi appaiono così ostiche e difficoltose come all'inizio. Per i lettori: ripeto che si tratta di studi, perciò il risultato estetico finale potrebbe non essere apprezzabile per i più o per chi non è avvezzo all'apprezzamento dell'arte del disegno, ma sappiate che per me questi lavori sono molto importanti. 








Accanto agli studi ho realizzato anche un paio di lavori "Completi": uno che ritrae i vecchi palazzi di Castello visti da Viale Regina Elena; una veduta che raffigura un panorama di Cagliari con al centro una strana cupola che fa pensare ad una sinagoga, un acquerello che riprende i palazzi e una chiesa di Castello visti dal Bastione Saint Remy e due scorci di Cagliari vista dal mare. Queste ultime le ho potute fotografare grazie alla passione per la barca a vela di mio fratello, che con la sua barca mi ha portate a fare un breve giro appena fuori dal porto. 
Di questi lavori alcuni sono stati iniziati sul posto e poi terminati in studio, mentre quelli tratti dalle foto fatte dalla barca sono interamente realizzati in studio, perché disegnare in barca non è semplice e non ne avevo il tempo. Questi lavori erano complessi ma tutto sommato devo ammettere che mi son venuti bene e mi piacciono, soprattutto la veduta di Cagliari per la quale ho deciso di utilizzare qualche pennarello e penna colorati. 







Insomma come inizio su Cagliari direi che non è affatto male.

Alla prossima.  

venerdì 3 settembre 2021

Sarda perlite a carboncino.




Essendo nuovamente costretto a stare a casa da cause di forza maggiore, ho dedicato questi ultimi giorni a questo studio accurato della Sardaperlite. E' stata anche un'ottima occasione per testare le qualità del carboncino su soggetti particolarmente ostili e nello specifico sui dettagli e sul suo comportamento con la forma. Il carboncino mantiene un carattere etereo e vaporoso e non ha in troppa simpatia il dettaglio e la sua cura (o dovrei chiamarla ossessione?). Difficile far risaltare la concretezza delle cose e il loro impatto cromatico,  soprattutto quando il soggetto è complesso e si lavora coi volumi. 
Risultato finale soddisfacente, ottimo se visto come studio, ma poco convincente dal punto di vista estetico, trovo invece che il carboncino si presti bene sui ritratti, il suo utilizzo nel ritrarre la testa di manichino e la sua superficie cangiante e inafferrabile è stato ottimale sotto ogni punto di vista.




 

venerdì 20 agosto 2021

Terra bruciata.



Da Santu Lussurgiu a Cuglieri, le cime dei monti sono state devastate dal fuoco.  
Ho deciso di esplorare la zona, recandomi in località Badde Urbara dove ci sono le mie adorate antenne e proseguendo poi lungo la strada che porta fino a Cuglieri, per inoltrarmi in qualche stradina di campagna che dalla costa si addentra verso le colline rocciose del Montiferru. Quello che resta è un paesaggio lunare oscuro, grigio e polveroso. Ho realizzato due studi con fusaggine e carboncino, che si presta alla perfezione per ritrarre un simile scenario, e scattato diverse foto, che in questo caso preferisco non editare su Photoshop. La saturazione appare bassa anche perchè quel giorno c'era una intensissima foschìa.



Quelle che in un primo momento mi sono sembrate le ombre delle nuvole sulla cime della montagna, 
ad uno sguardo più attento sulla fotografia si sono invece rivelate come i segni del passaggio del fuoco. 





Lungo la strada che porta da Bonarcado a Santu Lussurgiu, poco prima delle cascate Sos Molinos si apre la prima visione di un vasto territorio bruciato dal fuoco. Mi fermo sul ciglio della strada per ritrarlo.



Su questo cartello prima del rogo c'era una vecchia scritta blu su fondo bianco sbiadita dal tempo: 
"RAI - Centro trasmittente Punta Badde Urbara".
 


Le antenne colonizzano perfettamente il paesaggio, indifferenti alla desolazione, come il centro di una enorme porta dimensionale di cui non si conosce il meccanismo e il costruttore.  




Caseggiato del centro trasmittente annerito dal fuoco. 









Cuglieri, Castellu etzu. La collina del castello è bruciata per una buona parte.



Alberi pietrificati dal fuoco resistono sulla collina come l'ombra di soldati morti.




Questo è uno teatro naturale bellissimo per un dipinto a olio o acquerello, ci sono diversi soggetti che vogliono parlare qui, tutti abbastanza importanti, bisognerebbe stare attenti a quali voci dare carattere e nel caso fare attenzione all'armonia e non mettere troppa carne sul fuoco, per dirla volgarmente. In particolare si potrebbe restringere il tema a quella vecchia fattoria sotto gli alberi bruciati, sullo sfondo di quella lontana parete rocciosa, Forse ci tornerò.












 

domenica 25 luglio 2021

I pupazzi governano il mondo.






Come si fa, dopo la pandemia, a guardarsi attorno e resistere alla tentazione di spendere qualche ora per fare delle riflessioni sulla società e sulla cultura nella quale siamo immersi, e che viviamo ogni giorno in maniera variamente partecipata? Come si fa a non dare ascolto a quella parte di se che vede in ciò che accade qualcosa di troppo contradittorio per non destare una particolare attenzione? Si può continuare a pensare che le cose stanno così, che il disagio è dentro di se e non fuori, che bisogna trovare il modo di viverlo, si può provare a immergersi nel mondo accettando le sue contraddizioni e gli obblighi sociali e pensare che si può vivere pur non essendo in accordo con alcuni principi, che ci sarà sempre spazio per se stessi, per il proprio animo e per la propria esperienza. E si fa così. Come lo si fa ogni giorno. Ma ci sono quei fatti particolari, come la recente disposizione dell'obbligo a vaccinarsi, che mi portano a voler spendere qualche ora di riflessione. Non voglio impugnare nessuna arma e non voglio lottare o aprire alcun fronte e ancora meno far parte di qualche gruppo di liberazione. Mi interessa esaminare l'armonia culturale nella quale vivo. Che io definirei disarmonica, o piuttosto una composizione minimalista di carattere marziale e agitato. 

Sarò prevenuto, emotivamente prevenuto come lo sono tutti gli esseri umani: sarei uno psicolabile se continuassi a voler trovare a tutti i costi delle giustificazioni morali, sanitarie, legali o costituzionali ai diversi decreti che sono stati emanati per "contenere" il contagio e a come i cittadini Italiani vi hanno reagito e anzi li hanno approvati e richiesti. E il punto sta proprio qui: piuttosto che criticare le leggi o vedervi una deriva anti-democratica mi soffermerò sulla superficie "culturale" ed emotiva che soggiace all'emanazione di questi decreti.

Moralismo, perbenismo, conformismo, paternalismo. Queste sono alcune delle parole che mi vengono in mente per definire il modo in cui stato e cittadini hanno reagito alla pandemia. Esse fanno capo a quattro "tòpoi" a cui mi interessa dare forma in qualche modo:

il perbenista, il moralista, il conformista e il paternalista.


Il perbenista

E' un allievo del moralista. Ma a differenza di questo, che si sente un cittadino attivo e partecipe, il perbenista è più un cittadino passivo che si lascia trascinare dalla corrente e aderisce alle cose in maniera bonaria: se quella cosa produce un bene allora quella cosa "va bene". Non si pone problemi e i suoi pensieri vanno abbastanza spicci: una cosa o va bene o va male. Se comincia a pensare non regge il disagio esistenziale e fa di tutto per evitarlo. E qui lo capiamo. Per questo è un finto immacolato, vuole che le cose funzionino, ha paura se le cose vanno male, evita le dispute e appena può se ne torna a casa a pensare a come assecondare la moglie e a quanto tempo di riposo ha per coltivare il suo hobby prima di dover ritornare al lavoro. Dopo avere fatto tutto quello che va fatto per il benessere della propria esistenza solitamente si accorge di non avere affatto tempo e si accontenta di guardare una serie in TV o su Netflix. Il perbenista è un po' un ancella che vorrebbe fare la governante ma vede troppo distante da se questo compito e non si ritiene all'altezza, per cui si accontenta di assolvere al meglio il proprio. Nel suo orizzonte mentale infatti il benessere consiste semplicemente nell'assolvere compiti di responsabilità sempre più elevata. Il desiderio e il piacere personale sono inesistenti o ridotti al minimo.


Il conformista.

L'altra figura di base su cui poggiano le basi della nostra società ossessivo/puritana è quella del conformista. Il conformista non è facile da descrivere come il perbenista. E' a dire il vero, una figura un po' sfuggente, non semplice da esaminare. Nel pensiero comune sarebbe quello che fa qualcosa "perchè tutti fanno così". Eppure sarebbe troppo sbrigativo etichettarlo in questo modo, troppo semplicistico e futile. Anche il conformista è un essere pensante, non è una pecora,  ha un cervello e lo usa, si sposa, fa figli, ha amici. Perciò non giudichiamolo come un mezzo decerebrato, il fatto è che usa il cervello in un certo modo, ovvero per aderire alla società o al gruppo a cui si sente di appartenere e, per l'appunto, si conforma. Ha un cervello di superficie, una specie di materia grigia funzionale alla propria innata missione: è come se fosse programmato dalla natura per conformarsi, quello è il suo orizzonte, la sua importanza di vita; l'appartenenza è il valore "naturale" che muove le redini del conformista. Ha perduto l'abitudine di andare a caccia di se e trarne l'unicità del valore, che per lui è tale solo se offre opportunità sociali. Perciò fare di testa propria è contemplato solo in una prospettiva di appartenenza, ma è un problema che molto raramente si pone poichè il conformista si muove all'unisono con gli altri, un po' come gli uccelli quando volano in stormo, non si capisce chi guida chi, quanti sono e che specie sia, e puoi sapere dove sono diretti solo se sei un esperto ornitologo.


Il paternalista.

Il paternalista può offrirsi come il soldato del moralista, ma il suo è un po' un animo da vecchio guerriero, da legionario. Se c'è qualcuno per cui lottare lotta, altrimenti corre anche da solo. 

La sua forza d'animo è tenace e resistente. La prima cosa che viene in mente per identificarlo è che il paternalista 90 volte su 100 ha una certa età, cioè dai quaranta in su. Il paternalista è quello che ha accumulato una certa esperienza di vita e a volte qualche minima competenza tecnica da potersi permettere, sapendolo, di non farsi i cazzi propri per spargere il verbo del bene civico. Ha capito quanto la vita sociale sia importante per il proprio ristretto benessere e  trova sempre qualche minuto o qualche mezz'ora del proprio tempo (che solitamente impiega per fare cose tipo controllare l'olio della macchina e il filtro motore), per mettere il naso nel tuo giardino e spiegarti come devi tagliare l'erba, solitamente facendoti notare che se continui a tagliarla in quel modo poi corri il rischio di sporcare il marciapiede "perchè domani c'è vento di maestrale", concludendo o aprendo il discorso con un compìto "scusa se mi permetto". 

Il paternalista è abbastanza educato, anche cortese e sicuramente intelligente e anche scaltro, e deve esserlo perchè le manovre intellettuali che esercita quando esercita la paternale sono molto delicate. Vi sono due tipi di paternalista. il paternalista inconsapevole e quello consapevole. Tra i due quello consapevole è assai diffuso. Il paternalista infatti trova un certo compiacimento nel suo operare, esso deve venire allo scoperto per assolvere la propria funzione. E poi ha tanta pazienza. Il paternalista pensa sempre che gli altri non capiscono perchè non sono stati educati o informati a modo, il tempo è suo alleato e non c'è niente di meglio per un paternalista che aspettare il momento giusto per entrare in gioco e convincere qualcuno della bontà di una certa opinione, della funzionalità di un certo strumento, della convenienza di una certa azione, delle capacità di un certo strumento etc. La cosa odiosa del paternalista e che ovviamente lo rende diverso da qualunque altra persona che voglia insegnarti qualcosa è che lui innanzitutto dispone insegnamenti non richiesti, che quella cosa te la sta dicendo "per il tuo bene", che te la dice "spassionatamente" e senza interesse, e soprattutto che trova il modo per farti capire che sei ignorante e che lui si trova su un livello più alto del tuo. Perchè il fine ultimo del paternalista è appunto quello di sentirsi un gradino più in alto del proprio interlocutore mostrando benevolenza, tolleranza ed esibendo tutto il valore civico di cui è stato capace di dotarsi nel corso della sua ricca esistenza (in realtà esiste una scala per misurare il paternalismo di una persona che va da 1 a 10; i virologi, che sono irragiungibili, stanno al decimo gradino, all'ottavo ci sono muratori ed elettricisti mentre al nono gradino non si è mai trovato un paternalista disposto a occuparlo, perchè nessuno si sente all'altezza di stare vicino ai virologi).

Invito il lettore a fare attenzione al paternalista poichè la sua presenza è subdola, si nasconde tra la folla e può spuntare quando meno te lo aspetti, si mimetizza in famiglia o tra gli amici. Ti sorveglia silenziosamente e puoi sfuggirgli abbastanza facilmente se hai gli strumenti giusti, ma devi prestare molta attenzione perchè al minimo input esso si risveglia di colpo e si pone in stato di attività come una miccia infuocata corre verso la detonazione e a quel punto puoi solo scappare.

Mi sono dilungato così tanto sulla figura del paternalista perchè ritengo che essa sia sottovalutata. Difatti, se è vero che molti paternalisti con cui ci imbattiamo non sono altro che dei perbenisti malamente mascherati da paternalisti e il loro potere è pressochè nullo, i veri paternalisti, i legionari tenaci e duri che non conoscono resa, pur essendo pochi hanno un gran potere persuasivo e sebbene essi non giochino sempre a favore del moralismo imperante, bastano pochi di essi per educare un esercito di perbenisti i quali a loro volta andranno a sobillare un reggimento di ignari conformisti.

Adesso passerò ad esaminare la figura chiave della nostra disamina, il dominus di quel complesso sistema su cui si reggono i sistemi ossessivo/puritani.


Il moralista. 

"Moralismo può anche riferirsi ad un atteggiamento di eccessivo richiamo alla norma nel suo aspetto formale applicato a giudizi che portano spesso ad una disumanizzazione della morale". Da Wikipedia.

Non esistono ancora studi scientifici che dimostrino di quale materia sia composto un moralista, ma è ormai un dato assodato che esso non è un essere umano, bensì una specie di pupazzo, uno spaventapasseri di pezza costruito da pezzi di conformismo, perbenismo e paternalismo incollati con una miscela potente di cemento e resina. La caratteristica determinante di questo pupazzo dalle fattezze umane, che poi è anche ciò che ci permette di individuarlo agevolmente, è la sua capacità colpevolizzatrice. La sua potenza di fuoco è sconvolgente e presso chè infinita, il moralista infatti si autoricarica come le automobili ibride, e potrebbe procedere con la colpevolizzazione per giorni e giorni.  

Un buon spaventapasseri esercita la sua professione fino alla morte. Anzi, più passano gli anni e più il moralista si rinforza, col difetto che il suo valore comunicativo decade considerevolmente, nel migliore dei casi su sfoghi abbastanza innocui ma rabbiosi, nel peggiore dei casi su soliloqui nevrotici. Sono frequenti i casi in cui il collante che mette insieme i pezzi del moralista viene a cristallizzarsi causando lo scollamento delle varie parti per cui il moralista si ritrova a pezzi senza più una ragione di vita. Sono questi i casi in cui il pupazzo potrebbe mutare in essere umano vero e proprio, risorgere dalle proprie ceneri o come una farfalla vedere la luce uscendo dal proprio bozzolo. E invece il moralista chiede il sostegno di altri spaventapasseri che lo aiutano a rimettersi in sesto, incollandone i pezzi con la medesima colla che ne ha causato il dissesto. In questi casi le ricadute sono assai frequenti e il moralista ne utilizzerà le ferite come motore delle proprie nevrosi sfogandole durante le sue acide filippiche. 

Egli pensa che fondamentalmente l'ostacolo che si frappone tra il paradiso e la società iniqua in cui si trova a vivere non sia altro che l'insipienza umana, il cattivo senso civico e l'egoismo. Perciò è specializzato nell'individuazione di bersagli su cui sfogare le proprie frustrazioni sotto forma di denigrazione e stigma. Il moralista attivo ha una condotta impeccabile, è una specie di soldato civile, di quelli che stressano il cameriere se non trovano il latte di riso a disposizione, o sono pronti a prendersela col primo vigile urbano che passa se non trovano un cestino per i rifiuti. 

Non importa che sia di destra, di sinistra o berlusconiano, egli cerca di essere un buon cittadino e spesso piega i propri desideri al buonsenso della propria condotta, cosa che lo rende più aggressivo e inquieto quando si accorge che qualcuno non si sacrifica come lui per il benessere sociale. Potremo definirlo come un conformista mancato: troppo sensibile per far parte della schiera del consumatore modello, sente di avere ancora uno spirito e un'animo, ma sono atrofizzati dalle sue ossessioni civiche, per questo ha perduto l' indipendenza del sentimento e il suo essere è decaduto al servizio dei propri valori, costi quel che costi, alla ricerca costante di qualcuno da giudicare e colpevolizzare. 

Queste sono le quattro figure chiave di cittadino modello sulle quali fa leva qualsiasi forma di regime democratico o non democratico per assumere consenso e ottenere fiducia. Sulla rivista Lancet sono stati pubblicati tutti gli studi scientifici del caso.

Viviamo una società puritana ossessionata dal controllo e impaurita dalla malattia e dalla decadenza fisica, che pur di non ammalarsi si è inflitta dei dolori assurdi autoflagellandosi come i frati del medioevo, sacrificando la vita per continuare a vivere. Ci ha portato a chiuderci in casa per un anno allontanandoci gli uni dagli altri, indossare inutilmente mascherine all'aperto e adesso si assume il compito di obbligare i cittadini a non ammalarsi, come se essi non aspettassero altro. 

Qualcuno ha detto che la libertà e la democrazia si costruiscono, e sono d'accordo, ma penso che si stiano usando i mattoni sbagliati e che non ci sia un buon ingegnere dietro.    



mercoledì 23 giugno 2021

My favorite head: opere a carboncino.





Avrei voluto postare questi ultimi lavori con più tranquillità e serenità, ma, aimè, come accennato nell'ultimo post sono ancora sottomesso" al desiderio di questo mal di schiena/anca/inguine di tenermi  bloccato tra il letto e il tapettino degli esercizi. Anche stare seduto mi duole, oltre affaticare e irrigidire i muscoli perciò non sto affatto disegnando e dipingendo da più di un mese ormai, e quando mi siedo, devo dosare bene i tempi e fare attenzione a quanto mi sto sforzando. Uno strazio di cui in questo momento non ho tanta voglia di parlare, visto che ovviamente ne parlo spesso con tutti. 

Inizio subito dicendo che di alcuni disegni posterò solo dettagli, perchè  mi piacciono talmente tanto che mi dispiace mostrarli per intero e voglio che si possano vedere integralmente soltanto quando farò la mostra, che ritengo l'occasione migliore e più adeguata per godere di un lavoro artistico.

Sono opere a carboncino che ritraggono una testa di manichino usurata dal tempo e dagli agenti atmosferici. Di questa testa ho parlato già un paio di volte nei post precedenti. 







Prima di disegnarla a carboncino avevo tentato già un paio di volte di ritrarla, prima con i colori acrilici, poi con l'olio, e poi con l'acquerello. Ma questi tentativi mi lasciavano sempre un senso di frustrazione perchè non riuscivo assolutamente a catturare quell'alone dirty/noise, quel senso di usura e lo strano carattere dello "sguardo". 

Ovviamente come molti manichini anche questo è privo di occhi, quindi lo "sguardo" di cui parlo non è altro che quella sensazione che il manichino trasmette quando lo guardi proprio a causa di questa mancanza. 

Ma le caratteristiche che mi attraggono di questa testa sono diverse: tutte le ferite che il tempo ha suscitato in essa: graffi, tagli, bolle, sporcizia cicatrizzata sulla superficie di quella che sembra essere diventata quasi un pelle umana.

Più passa il tempo e più questa testa assume sembianze tanto umane quanto inquietanti. Ogni lavoro si sofferma su aspetti differenti, da prospettive diverse e diversa illuminazione. In alcuni mi sono maggiormente soffermato sulla superficie "dermatosa", in altri sulle lacerazioni purulente, sul profilo col naso tumefatto o sul capo completamente usurato e incendiato dal sole.







C'è una frase che ho scritto sul mio book virtuale che mi piace molto: 

"Concepisco l’opera anche come una forma di introspezione, e come uno psicologo malato che emana uno strano fascino e ti pone di fronte alle tue stesse rivelazioni, la pittura cerca di offrirvi la chiave di un accesso impossibile..."

La cito qui perchè ciò è ancor più vero per questa serie di lavori che ho realizzato come un chirurgo pazzo che cerchi di sezionare un cervello umano esaminandolo con attenzione maniacale illudendosi di trovarvi chissà quale segreto.


Disegno a matita.




sabato 29 maggio 2021

Riflessioni sull'arte.



Queste ultime settimane sono state molto intense, per diversi motivi. Avrei tante cose da scrivere e da approfondire. Cercherò di essere chiaro e profondo, cercando di contenere divagazioni proto-paranoiche e prolassi linguistici. 

Soprattutto l'ultima settimana è stata la più intensa di tutte: sono dovuto stare fermo a letto a causa di una fortissima infiammazione alla schiena e precisamente al muscolo Ileopsoas, che è il muscolo che comanda gambe e schiena, uno dei più importanti e forti del corpo umano. Ovviamente la diagnosi della mia dottoressa è stata quella di una infiammazione, perciò ho curato (finisco oggi) con antinfiammatori, cortisone, Tachipirina, Gastroprotettore e persino un lassativo. Ero molto preoccupato perchè dolori così intensi e una degenza così lunga non l'avevo mai provata. Ti ritrovi distrutto, come un'ottantenne arreso al proprio corpo, e come un'ottantenne ti muovi e scansioni la tua giornata, tra bagno e letto. Ho ascoltato tantissimo il mio corpo, prima i dolori e le fitte per cercare di evitarli il più possibile, poi dopo la fase acuta ho scansionato le contratture, le rigidità, le dolenze nei vari punti, aiutato dalla possibilità di individuare il dolore anche a livello razionale creando una specie di mappa mentale grazie ai tanti articoli a disposizione su internet che permettono di orientarsi sui punti "caldi" del proprio corpo e averne perciò una concezione più attenta e precisa.

Dopo la malattia arriva la fase riabilitativa - anche se in realtà le due fasi si compenetrano e si mischiano -  e a quel punto il corpo lo ascolti non per stare attento a non farti venire i dolori, ma per cercare le rigidità e cercare di, oserei dire, comprenderle, permettere che esistano e, forse, provare a scioglierle ridandogli a poco a poco esercizio e mobilità. E' un percorso lento, ma a un certo punto ho pure pensato che una persona, in questi casi di infiammazione muscolare potrebbe persino guarire anche solo dando un profondo ascolto ai muscoli, muovendoli con cura e attenzione, quasi "parlandogli" per cercare di sciogliere quella rigidità in cui si sono andati a chiudere. Di sicuro la riabilitazione parte da se stessi e non solo dai medicinali. Credo di avere somatizzato una specie di esaurimento mentale. Ad ogni modo, ancora non ne sono uscito del tutto, al momento sono ancora convalescente e la situazione è da tenere sotto osservazione, tanto è vero che Lunedì prossimo dovrò fare una ecografia.

 


Durante questa degenza ho potuto approfondire e in parte sperimentare in prima persona i significati e le emozioni provate da Oliver Sacks e raccolti nel suo interessante saggio/racconto "Su una gamba sola", che racconta la storia vissuta dallo stesso Sacks, medico neurologo Inglese, che a causa di un incidente in montagna perse l'uso di una gamba per un certo periodo e fu costretto a letto, senza sapere se mai ne avrebbe recuperato l'uso. Il mio caso è ben diverso, non così grave e traumatico, ma in qualche modo ho potuto cogliere al meglio ciò che Sacks esprime nel suo libro, gli stati d'animo e le riflessioni che quella grave esperienza gli ha suscitato. Il libro è ottimamente ben scritto, istruttivo e ricco di sottile umorismo, e perciò consiglio a tutti di leggerlo.

Un secondo e importante libro che ho potuto apprezzare in questa settimana di degenza e sul quale vorrei soffermarmi per trarne qualche riflessione è stato "Contro l'impegno", un saggio scritto da Walter Siti e uscito in libreria proprio in questi giorni. In realtà devo ancora finire di leggerlo, ma ciò che ho letto fin qui mi spinge a consigliare di leggerlo a tutti gli scrittori, artisti, persone creative o in generale coloro che sono attenti alle dinamiche culturali  e alle spinte intrusive dell'establishment della propria epoca. 




ESTABLISHMENT.

Di fronte al trend contemporaneo che predilige l'utilizzo di parole sempre nuove, accattivanti, inglesizzanti o inusuali, l'utilizzo di questa parola sembrerebbe inadatto e nemmeno piacevolmente vintage. Eppure io penso che l' establishment, seppure non sia quello degli anni sessanta-settanta, non sia oppressivo e censorio come quello dell'epoca fascista, non sia direttamente pagato dal ministro della propaganda, sia comunque attualmente operativo, a livello inconscio e con dinamiche frammentate ma riconoscibili anche se non "fotografate" e proprio per questo motivo bisogna, a mio parere, fare molta attenzione e esaminare le correnti che lo portano a galla e rivelano la sua presenza e il suo operato nel tessuto culturale moderno, per quanto "liquido" esso possa apparirci. E a proposito di società liquida, è proprio sulla superficie che si addensa la melma. Dico questo perchè credo che l'animo umano sia costituito da emozioni e sentimenti, e che la cultura non sia altro che uno strumento attraverso il quale esprimerli, perciò tutte le persone e soprattutto gli artisti dovrebbero trovare la massima emancipazione da tutte le spinte culturali nelle quali siamo immersi, prima di tutto per conoscere meglio se stessi al netto dell'inquinamento culturale che ci sospinge, per evitare di esserne sommersi e nuotare o veleggiare nei flutti con più agio e consapevolezza, in modo da poter poi immergerci con più tranquillità nelle profondità delle emozioni che andiamo a esplorare con la nostra arte, con l'unico vascello a disposizione che abbiamo, che è quello del nostro spirito, e più lo spirito è puro, libero dai sovraccarichi culturali che tutte le epoche tendono a scaricare sull'animo umano, più possiamo vivere con pienezza la vita ed esprimerla nella nostra arte senza la pesantezza del senso del dovere sociale con cui ci si vuole o ci si lascia imbrigliare. 

E' bello scrollarsi di dosso tutte le incrostazioni che la società cerca di lasciare in noi. Preferisco i graffi e le ferite alle incrostazioni e alla polvere della cultura. Soprattutto in questo periodo neopuritano, ossessionato dalla "massima sicurezza" e irrigidito da nuove paure in precetti proto-progressisti scientificamente certificati. Tra rare sacche di intelligenza si trovano strani ripiegamenti, desiderio di disciplina e chiusura, dove riflettere sui campi umani poco graditi sembra essere sinonimo di disagio personale e stigmatizzato come poco fruttuoso e utile. Non resiliente insomma, ancora troppo patologico. Laddove si vuole portare l'attenzione su aspetti problematici la parola d'ordine sembra essere "Dai il tuo contributo e non criticare", una specie di out-out alla riflessione, un chiudere gli occhi là dove le cose si fanno troppo  oscure e complicate per potervi trar fuori delle conclusioni veloci, utili ed efficaci, non postabili sui social.  

Rispondendo idealmente ad alcuni brani tratti da un breviario di Gianrico Carofiglio, nel suo libro Walter Siti scrive: 

"Io penso che la letteratura possa spingerci all'odio, degli altri e di noi stessi, e possa arrivare a farci dubitare di qualunque verità; che serva a mettere ordine nel caos e caos nell'ordine. Politicamente la letteratura è sempre inaffidabile. Mentre per un politico scatenare l'irrazionalità è pericoloso, e per un giornalista l'ambiguità è un vile difetto, la letteratura invece si fonda sull'ambiguità, sull'ambivalenza (detesto/amo, sono io/non sono io), e sulla suggestione irrazionale. La metafora, che in un comizio vale come esortazione mirata, è nella sua essenza un falso sillogismo (...): il pensiero emotivo è illogico per definizione ed esclude che un poeta (ma anche un romanziere) Possa essere fino in fondo responsabile delle parole che usa e dei personaggi che inventa. Quando Carofiglio dice che "il messaggio implicito e potente dei populisti è non devi vergognarti dei tuoi sentimenti più oscuri", noto che la stessa cosa viene detta implicitamente da molta grande letteratura, da Lacklos a Dostoevsky, da Racine a Nabokov, da Sandro Penna e Brett Easton Ellis ed oltre. L'oscurità dell'inconscio, personale e sociale, è un pozzo senza fondo al quale attingono sia i messaggi d'odio che gli scandagli di conoscenza. Se gli scrittori non vogliono che il loro impegno si riduca ad una forma di populismo buono da opporre al populismo cattivo, devono fare attenzione a non dare priorità, nei loro romanzi, a troppi messaggi esortativi o pedagogici."

Questo è solo uno dei tanti passaggi interessanti del libro di Walter Siti che può aiutare a fare chiarezza tra la necessità di impegno e ricerca artistica. In tal senso, la necessità e il legittimo desiderio di sentirsi impegnati e integrati nella società può essere castrante per se stessi e per la propria esplorazione artistica, oltre che deleterio per la conoscenza dell'animo umano e della psiche propria e collettiva. L'artista può patteggiare per un partito, ma non può farlo la sua arte: l'arte deve essere libera da questo. All'artista servono gli strumenti culturali giusti per orientarsi negli abissi e ritornare a galla, carico di tesori enigmatici, ma non può essere il faro per la bontà morale di un epoca. Questo lo scrivo in primis per me stesso, perchè mi sento meglio quando sono sgravato dai pesi che la cultura vorrebbe farci usare. 

Non ho voglia di manifesti o di sentirmi parte di un movimento o di un gruppo. Voglio essere nel presente con la mia libertà emotiva, e se non avrò chiarezza vorrò comunque essere senza sentirmi obbligato ad esserci. Il libro di Walter Siti offre tantissimi altri spunti di riflessione, e trova il modo di approfondire più specificamente su vari aspetti della cultura contemporanea e della letteratura. Cercare di riassumerli qui sarebbe troppo difficile. Spero che quello che ho scritto sia suggestivo e possa suggerirvi di comprarlo. 

L'arte rivela. Non è una sedia da dentista, non è lo strumento di una comunità, non è la cassetta magica dell'operatore culturale. Fare arte non è rilassante, a volte può esserlo ma a volte può essere faticoso, e quello che porta a galla non sempre è gradito e riconosciuto. Perciò non bisogna pensarsi come "operatori culturali", ma piuttosto come delle sonde, esseri sensibili che vanno a pescare laddove nessuno può arrivare, e ciò che pescano nessuno sa esattamente che forma abbia, nemmeno il pescatore. 


ZEITGEIST.


In questa necessità di fare chiarezza tra la libertà dello spirito espressivo, il desiderio di essere/esserci e la gratificazione di essere riconosciuti per il proprio "impegno", mi sento di accennare qui brevemente ad una parola che qualche mese fa ho casualmente letto su Facebook (a proposito, dettaglio non trascurabile: ho abbandonato Facebook) e il cui significato sono poi andato ad approfondire su Wikipedia: questa parola è Zeitgeist, una parola tedesca che concettualmente viene tradotta come "Lo spirito del tempo". La nostra fiducia nella democrazia e nell'emancipazione dell'individuo, nel progresso tecnologico, nell'ecologismo impegnato e quel senso di partecipazione ad una società più giusta e più ecqua che sembriamo ricavare anche semplicemente consumando un veg-burger o comprando una confezione di biscotti A km zero imbustati con materiale biocompostabile ci ha fatto dimenticare lo Zeitgeist. 

Come l'ego è lespressione irrigidita della persona, allo stesso modo lo Zeitgeist esprime il nucleo di una società e del suo tempo. Non siamo fatti di democrazia, ma di tensioni politico-emotivo-ideologiche. L'arrivo della pandemia credo che abbia portato alla luce prepotentemente lo spirito dei tempi che stiamo vivendo. La democrazia non nasconde o scioglie lo Zeitgeist, permette semplicemente a tutti di parteciparvi e di esserne più o meno schiavi o più o meno orchestranti. Non si tratta di decidere se far parte dell'orchestra o subire passivamente lo spettacolo, non è qui che trovo il mio equilibrio e la mia soddisfazione: si può uscire dal teatro e andare dove lo Zeitgeist non arriva, per sentire gli umani che siamo, e come artisti essere emancipati dalle influenze più deleterie che la cultura o Zeitgeist dei nostri tempi esercitano sull'individuo, come i lunghi tentacoli di un polipo o un grosso ragno dalle mille zampe. Bisogna riconoscerlo e studiarlo, non per farne un nemico contro cui lottare o per migliorarlo, ma esaminarlo come il mare nei differenti stati atmosferici; può essere bello e affascinante, schiumoso o inscrespato da bianche scremature, piatto a perdita d'occhio, infinito nella bonaccia, ma i suoi flutti possono diventare i nostri peggiori nemici, sommergerci e ucciderci. 

sabato 6 marzo 2021

Una Domenica in paradiso (con gli extraterrestri). Tra centrali termoelettriche e vecchie torri.













La Scorsa settimana ho deciso di andare a fare un giro alla Pelosa, di cui si sente parlare così spesso, che è una località di mare che si trova nel nord Sardegna. Precisamente nella punta Nordovest dell'isola, di fronte all'isola dell'Asinara. Mi piaceva l'idea di andare in un posto così lontano, in una zona di "confine" e in una stagione dell'anno inusuale per le gite.  

Era da un po' di tempo che volevo recarmi in questa zona, in cui non ero mai stato, anche perchè l'altro luogo che volevo visitare che vi si trova è la miniera dell'Argentiera. In realtà la distanza tra la Pelosa e l'Argentiera, anche se apparentemente vicine, può essere percorsa in 40 minuti di macchina, che non sono affatto pochi, perciò in questa gita ho tralasciato l'Argentiera e ho passato il mio tempo esplorando la parte più rocciosa della località, facendo foto, gironzolando per le spiaggette e osservando le persone mentre passeggiavano sulla riva del mare, che molto bizzarramente indossavano la mascherina nonostante non vi fosse alcun tipo di affollamento. Vedere queste persone vestite di tutto punto e col volto coperto passeggiare in quell'ambiente paradisiaco e selvaggio era una visione abbastanza straniante, mi sembrava di essere atterrato su un pianeta sconosciuto invaso da strani visitatori extraterrestri che si aggiravano tra rocce e spiaggette prima di riprendere le loro astronavi e far ritorno ai loro mondi lontani. 

Per arrivare alla Pelosa si passa da Porto Torres e Fiume santo. Ci si trova perciò a fiancheggiarne l'agglomerato industriale. Si passa molto vicino a degli enormi silos affondati tra avvallamenti di terreno e campi di carciofi, e poco dopo appare la gigantesca centrale termoelettrica di Fiume Santo, che è veramente sorprendente, e mi ha decisamente affascinato: sembra una enorme base scientifica e ha un aspetto piuttosto moderno, molto diverso dall'aspetto "inquinante" delle classiche industrie. Ho cercato di avvicinarmi per fare delle foto cercando stradine laterali,  ma l'accesso in macchina non era consentito, e non avendo molto tempo a disposizione mi sono accontentato di fare qualche foto da lontano. 





Dopo un malsanissimo tentativo di disegnare dal vero la Torre della Pelosa da una postazione scomodissima (ero in mezzo a delle rocce piuttosto appuntite, seduto stortissimo e torcendo il busto e il collo, col vento che cominciava a rinfrescare) ho deciso di fare un ultimo giretto verso le spiagge e poi tornare a casa. Sulla via del rientro, poco dopo aver oltrepassato Stintino, ho visto una sorta di vecchia ciminiera in lontananza, ho pensato che potesse essere la tonnara che avevo notato sulla mappa, perciò ho deciso di avvicinarmi per visitarla. Cercando informazioni su internet avevo saputo che il complesso della tonnara è stato comprato da una impresa della Marcegaglia ed è stato trasformato in un resort che adesso si chiama per l'appunto "Le tonnare village Marcegaglia". Ho cercato di raggiungere il posto, che ovviamente era munito di sbarre e cartelli di avviso di proprietà privata etc. ma ero troppo attirato da una strana torre che si trovava proprio sulla battigia a qualche centinaio di metri di distanza, circondata dal mare, dalle acque stagnanti, da una spiaggia invasa di alghe e dalla tipica vegetazione delle zone salmastre. Il paesaggio e la posizione inusuale della torre, che era accompagnata da una costruzione mezzo diroccata, mi incuriosivano troppo, per cui ho deciso di lasciar perdere il tonnara village e provare a raggiungerla. Supongo che fosse una costruzione appartenente al complesso della tonnara. Il paesaggio era molto bello, dismesso e malinconico, il vento soffiava sulle onde invocando gli spiriti di lontane epoche mesozoiche, mentre gli spettri della lontana centrale di fiume santo echeggiavano il loro potere oscuro sul paeseggio desolato. Poco distante dalla vecchia torre vi era una piccola struttura di sapore balneare che non so se dovesse fungere da rimessa attrezzi, chiosco bar o bagno pubblico, con un pattìno parcheggiato di fronte e la modesta scritta "Molo 18". Dunque la massa degli invasori estivi arrivava fino a lì? Ho pensato chi potessero essere i frequentatori di quella spiaggia stracolma di alghe, nascosta dal fango delle saline, fatta di grossi chicchi pietrosi e pezzi di conchiglie frantumate, patelle, arselle e bocconi smangiucchiati, ho dato un ultimo sguardo alla lontana centrale di Fiume Santo, ho attraversato il ponticello sopra lo stagno e mi sono diretto verso la macchina, pensando che sarebbe stato bello ritornare, gironzolare di nuovo, perdermi nei pensieri, lasciarmi affascinare da paesaggi sconosciuti, fare foto e dipingere, o annoiarmi e basta.










Foto riprese con Canon eos 550d e Iphone SE.